La camicia bianca è pronta. Ne ho diverse. Una è di sartoria, metterò quella. Il capo di qualità lo senti addosso, scivola come un bagnoschiuma.
Sveglia alle sei, doccia, barba. Alle sette sono in cantiere, alle otto in ufficio.
Facce da funerale. Oramai è mesi che si arranca. Le banche non danno più un euro, i committenti se non falliscono, comunque non pagano. Le tasse bisogna comunque pagarle. Hanno scambiato le aziende per moltiplicatori di pani e di pesci. Giornata quasi normale praticamente.
Sento il mio amico fraterno che mi ha supportato tutti questi mesi. È’ avvocato anche lui, mi accompagnerà in tribunale oggi.
Ieri Mario, il mio avvocato ufficiale, mi ha mandato la comparsa. L’ho letta ieri sera. Mi è sembrata cazzuta. Gliene ha scritte di tutti i colori al collega, legale di mia moglie.
Mario si è incazzato da morire. L’avvocato di mia moglie, nelle memorie presentate, ha scritto che la negoziazione è fallita a causa mia. Un avvocato non dovrebbe mai portare in giudizio argomenti della negoziazione. E’ una prassi deontologica. Portare argomentazioni di una negoziazione, per di più false, è un fare che definire scorretto è un eufemismo.
Dalla comparsa di Mario:
Dispiace allora leggere nel ricorso (pag. 4, righi 21 e 22) che la via giudiziale della separazione sarebbe stata la conseguenza di non poter proseguire l’avviata procedura di negoziazione assistita “per l’accertata reale ragione del naufragio dell’unione coniugale”, vale a dire la relazione extraconiugale (passaggio svolto nel periodo precedente del ricorso), quando invece la ricorrente e soprattutto il suo primo difensore conoscono bene l’andamento del dialogo e la chiusura della Signora ad ogni possibile proposta collaborativa proveniente non solo dal mio assistito ma anche dal suo stesso difensore.
Discutibile la scelta di addebitare il naufragio della negoziazione assistita a Paperino, per di più attribuendolo al fatto della relazione, che non ha mai avuto ingresso nella discussione, e ancor più discutibile la scelta di voler inserire fatti – per di più non veritieri e mai accaduti – che sono e devono rimanere all’interno della riservatezza propria di una concorde decisione di tentare la negoziazione.
La questione non ha invero una diretta rilevanza nel giudizio; denota, però, il preoccupante atteggiamento della ricorrente volto a forgiare fatti ed episodi “ad usum delphini”, per utilizzare un’espressione cara alla ricorrente.
(Usum delphini è una espressione utilizzata molto dall’avvocato di mia moglie nel ricorso. Mario lo prende per culo, citandolo)
E ancora una volta è stato Paperino a chiedere alla moglie, con lettera del 26.4.2016, di recarsi insieme dal servizio di mediazione familiare del Comune, avendone parlato con la dott.ssa Lorenza……
Dopo avere accettato e dopo essersi recata per due incontri, ancora una volta la ricorrente ha mostrato la sua vera natura, abbandonando il percorso congiunto che avrebbe potuto giovare a loro in funzione soprattutto del migliore benessere per i figli.
Stridono allora tutte le ingiuste, ingiustificate e non vere accuse profferte nei confronti del marito, quando invece la stessa Signora ha inizialmente accettato il percorso condiviso, ben consapevole di essere la causa principale del fallimento del rapporto familiare.
Strumentalmente oggi, in sede contenziosa, cerca di mettere in cattiva luce il resistente (così limitandosi all’uso di un’espressione che meriterebbe ben altra colorazione) per raggiungere immotivati fini locupletivi.
Effettivamente mia moglie può prendere per culo me, ma se si mette il suo avvocato a prendere per culo il mio è una presa per culo al quadrato! Troppo.
Vado a prendere mio figlio da casa per portarlo a scuola guida. Ieri gli ho preso due bermuda con i saldi. Oramai è ad una taglia da me. Sento il fiato sul collo. Rimane un modo di dire purtroppo, magari lo sentissi davvero il suo fiato, il collo mi si squaglierebbe di felicità.
Non gli dico nulla del fatto che non mi abbia risposto ai messaggi. Ho deciso di parlare solo in positivo con lui, per ora.
Sembra che i bermuda gli siano piaciuti. Per il resto è un cavargli di bocca qualche monosillabo. Lascio mio figlio e vado a prendere un caffè con il mio amico Francesco. Mi ripete di stare tranquillo. Saliamo in tribunale, Mario ci aspetta in una stanza alla segreteria dell’ordine degli avvocati.
Ci vediamo. Mario mi scruta e mi sistema il look. Mi fa abbottonare un bottone alla camicia, ne avevo due aperti.
Gli dico:
- certo, sennò sembro un puttaniere.
Francesco ride, Mario rimane serio ma ha un ghigno stampato in faccia. Sembra teso. Chiedo a Francesco che lo conosce bene.
- Tranquillo, Mario è così . Hai presente una caffettiera quando esce il caffè?
Lui prima dell’udienza si carica a molla.
Me lo hanno detto tutti che in udienza è bravo. Oggi mi fa un po’ di impressione . Lo vedo sempre attivo e sveglio, stamattina mi pare assatanato. Mi rilassa la cosa, c’è chi è più teso di me.
Ci mettiamo in un corridoio ad aspettare. Arriva mia moglie con uno stuolo di persone. Il suo avvocato, due amiche, il figlio del suo avvocato, avvocato anche lui e una praticante. Dico:
- Ammazza, come numero ci stracciano.
Ridiamo.
Saluto mia moglie, non ricambia, bontà sua. Saluta con volto tirato sia Mario che Francesco.
Mario prende a parlare con i colleghi. Ogni tanto si gira e mi guarda. Mi sistema il collo della camicia e mi dice di mettere la giacca che porto in mano.
Ha un fare paterno, mi piace questa coccola, mi dà sicurezza.
Francesco pare il suo allenatore, avvicinandosi mi dice che parla a Mario per far evaporare la adrenalina, si rischia che in udienza azzanni tutti.
C’è da attendere . Mia moglie si è presentata col viso molto tirato.
Speriamo esploda.
Le aule di tribunale sono un chiacchiericcio continuo. Non capisco nemmeno come un giudice possa concentrarsi. La giustizia è in confusione perché lo sono le sue aule. C’è un brusìo di sottofondo che ti fa fare fatica a comprendere cosa ti dica uno accanto.
Dicono che nascano molte relazioni clandestine tra avvocati. Secondo me è perché per parlarsi devono avvicinarsi tanto da pomiciare quasi.
Arriva Mario sempre più impaziente:
- qua facciamo notte, dice.
Meno male che ho il mio blog. Scrivo sul ‘note’ del telefono. Mi concentro su altro e non conto il tempo, passa.
Sono nel corridoio. Sento un po’ di discorsi. Gli avvocati si distinguono perché hanno dei fascicoli in mano o una borsa. Gli altri sono per metà abbandonati sulle sedie. Non fa caldissimo ma ci saranno una trentina di gradi. La pressione bassa nei soggetti che soffrono si sta facendo sentire.
Gli avvocati commentano molto il look dei colleghi, ho notato.
Se ad un ingegnere chiedessi che abito porti il suo interlocutore, 99 su 100:
Breve riflessione a fronte corrucciata
- Non saprei
- Non è tra i parametri che ho considerato.
Continua l’attesa.
Il corteo di mia moglie, vista l’attesa si muove in altra sede.
Forse hanno letto la comparsa di Mario e si ritirano per prendere le contromisure.
Io aspetto nel corridoio con Francesco.
Era con me anche sull’altare, ed è lui che mi ha presentato mia moglie.
E’ bene che stia a pagare il conto insieme a me!
L’unica cosa che mi dà fastidio è questo brusìo costante. Guardo le altre persone che sono nel corridoio ma non riesco a capire cosa si dicano.
Mario è sempre in giro a parlare con colleghe donne. Mi sembra molto gettonato.
Anche lui è separato. Ha una figlia con la prima moglie. Poi si è risposato ed ha avuto altre due figlie dalla seconda moglie. Un bel curriculum matrimoniale.
Quasi tutte le avvocatesse passano e si fermano a parlare con lui. Non è un adone, ma sicuramente un uomo brillante.
Io scrivo.
Una amica di mia moglie è uscita dall’aula e si è messa a parlare al cellulare proprio davanti a me. Ho la sensazione che sia venuta a spiare cosa stia scrivendo. Parla al telefono ed ogni tanto butta l’occhio. La curiosità è femmina.
Continuo a scrivere il mio post imperturbabile.
Ne conosco tanti di avvocati anche io. Ho frequentato il liceo classico, nell’unico liceo della città. Quasi tutti i miei compagni di scuola hanno preso la carriera forense, poi.
Alla fine, pur essendo ingegnere, sono finito a gestire contratti come lavoro. Un po’ lo faccio anche io il leguleio. Chissà come sarei stato da avvocato. Quello che non mi piace di questa professione è la eccessiva forma. La forma, la ritengo una cosa indispensabile, la apprezzo se è proiezione e giusto involucro. Un bel regalo diventa veramente bello se ci fai anche un bel pacco. In questi casi la forma diventa un moltiplicatore di sostanza. Spesso mi sembra che gli avvocati usino molta formalità solo per nascondere la mancanza di contenuti. E’ un sipario del poco.
Mia moglie esce ogni tanto dall’aula e cerca lo sguardo in segno di sfida. Le piace far vedere che lei è spavalda.
Ora sono seduto da solo. Alzo lo sguardo e le concedo di fulminarmi con una occhiata.
La guardo , credo che i miei occhi somigliassero a quelli del merluzzo che ha lesso mia zia ieri. Quando voglio, so essere completamente inespressivo.
La separazione è un calvario. Guardandola però, mi rendo conto che non tornerei indietro per nulla al mondo.
Sono le 12,15. Attendiamo ancora. Penso molto a mio figlio stamattina. Mi parlava sempre a monosillabi. Non so se ho fatto bene o meno a non dirgli nulla del fatto che non mi abbia risposto ai messaggi che gli ho inviato.
Quando mi rendo conto che sto rimuginando scaccio il pensiero. Mi ero ripromesso di evitare i ripensamenti. Non gli ho parlato, ergo, ho fatto bene a non parlargli, mi ripeto mentalmente come un pezzo di rosario.
Arriva il nostro turno.
La discussione avviene in saletta riservata. Già questa è una buona cosa. Niente brusìo più.
C’è il giudice e la cancelliera seduti dietro una cattedra. Il giudice è un tipo bassino, occhialuto. Sarebbe simile a Ghandi se non fosse per gli occhiali rettangolari, invece che tondi. Giacca, ma non cravatta. Carnagione scura. Un uomo sulla sessantina. Serio, si vede che non è un tipo esuberante.
La cancelliera è bianco latte di carnagione. Capelli scuri, anche lei un po’ avanti negli anni.
Il colore della pelle dei due contrasta parecchio. Lei è cadaverica, mi fa impressione un po’.
La stanza è piuttosto piccola. In cinque ci stiamo a stento. Ci sediamo io e Mario da un lato, un po’ discosti dalla cattedra. Mia moglie, il suo avvocato e la praticante attaccati alla cattedra, come se dovessero pranzare.
L’arroganza spesso è anche fisica.
Il giudice esordisce chiedendo se c’è una possibilità di tornare insieme.
Nessuno risponde. Ripete due o tre volte la richiesta. Nessuno si pronuncia.
Mario fa presente che i tentativi si sono fatti, sono naufragati.
Il giudice deve aver letto qualcosa. Dopo il tentativo di riconciliazione, credo doveroso per lui, va subito al punto dei figli.
- Come mai questi ragazzi non vedono il padre?
Rivolto a mia moglie
Lei:
– è colpa del signore qui presente. E’ un padre assente, non riesce a instaurare un rapporto con loro. E’ un violento ed è il suo modo violento di gestire il rapporto che li fa fuggire. In tutti questi mesi ho provato a convincere i ragazzi a riaprire il dialogo col padre. Ho provato in tutti i modi. Non c’è stato nulla da fare. Lui è cambiato e non lo riconoscono più.
Ha detto poche parole, ma il sangue mi ribolle come in una pentola. Sento un fitta forte allo stomaco. Penso e ripenso a quello che ho passato. Non sudo, è il dolore a colarmi dalla fronte.
Il giudice:
- Ma lei, signora, è consapevole che i ragazzi hanno bisogno del padre ora? Sono degli adolescenti, se non li recupera ora, non li recupera più.
Lei
- -Il problema è che lui non può ricordarsi di fare il padre quando gli pare a lui.
Monta la rabbia. Vigliacca .
Il giudice rivolto a me:
- Lei deve cercare di tenere il dialogo quotidianamente coi ragazzi. Non basta una volta ogni tanto.
Guardo Mario e gli chiedo autorizzazione a vomitare. Non posso più trattenermi, devo parlare. Mi autorizza.
- Signor Giudice, io ho cercato ogni giorno i miei figli, dal primo giorno che sono andato via da casa. I primi tempi era mia moglie ad impedirmi di vederli. Non me lo consentiva, faceva ostruzione in ogni modo. I primi mesi mi era consentito solamente portarli su e giù dalla scuola calcio. Ad un certo punto ha deciso che non potevo fare neanche più quello. Andavo a prendere mio figlio da casa. Usciva lei con lui. Sfilavano davanti. Lei mi guardava con aria di sfida. Li seguivo, rimanevo a vedere l’allenamento e poi era la volta dei miei suoceri farmi sfilare i ragazzi davanti. Io ho vissuto questo in tutti questi mesi. Non ho ricevuto gli auguri a Natale, gli auguri al compleanno, i ragazzi non hanno risposto nemmeno al nonno al telefono. I miei figli mi dicono che sono un bugiardo e non so nemmeno perché. Mi hanno anche detto che li affamo, quando ho sempre versato più di quello che potrei. Ho pagato tutto, affitto, bollette, tornei, scuola calcio, libri, finchè li ho visti davo loro anche la paghetta al sabato. Mi sono impoverito. Mi hanno bloccato i contatti telefonici. Non potevo chiamarli al telefono e sono andato sotto casa per dargli il buon giorno ogni mattina. Non volevano che andassi alle partite di calcio e ci andavo semplicemente per farmi vedere e per vederli da lontano. Nemmeno un ciao mi dicevano quando cercavo di avvicinarmi. Mio figlio non voleva che andassi ai colloqui scolastici. Non so perché, provava un senso di vergogna per la situazione familiare. Non gli ho potuto parlare per capire. Lo hanno fatto tutti, io no. Me lo ha impedito mia moglie. Sono andato lo stesso ai colloqui. Mi ha visto mia moglie e la prima cosa che ha pensato di fare è informare il ragazzo che stessi lì. Ha buttato benzina sul suo senso di vergogna. Perché questo? Questo è tentare di conciliare il rapporto coi miei ragazzi? Quella volta mi ha anche aspettato all’uscita dell’aula di matematica per appellarmi in modo non ripetibile.
Lei:
Bastarda, penso.
Continuo:
- Finalmente dopo mesi che non vedevo il più grande ,riesco a convincerlo a farsi accompagnare alla scuola guida. Mia moglie ha la buona idea di partire con la sorella e mio cognato in Grecia in quei giorni e portarsi i ragazzi. Le chiedo di pensare anche al fatto che fossero mesi che non vedevo mio figlio ed avevo appena ricevuto una piccola riapertura. Forse sarebbe stato più importante il mio rapporto con lui della vacanza. La vacanza la avrebbero fatta comunque, dopo. A fine luglio vanno al mare con i nonni in un posto che a loro piace molto.
Invece che discutere con me, ha riferito subito ai ragazzi che io non volessi mandarli in vacanza. Anche questo è collaborare?.
Mio figlio piccolo mi ha chiesto con un sms il perché non volessi mandarlo in vacanza. Non c’è stato verso di riavvicinarlo da allora. Ha chiuso tutti i ponti. Anche questo è collaborare?
- Signora, non mi pare che suo marito sia una persona che non tiene ai figli. Almeno così mi pare. Se i ragazzi lo rigettano c’è un problema da valutare. Mi pare incredibile che questo accada tra due persone laureate, con una certa cultura, insomma.
Il trasporto con cui parlo non ha fatto pensare a finzione. La verità profuma anche se vomitata.
Il giudice ha insistito con mia moglie sul fatto che fosse assolutamente necessario per i ragazzi riprendere il dialogo col padre.
- Dovete riuscirci. Io posso emettere un provvedimento. Ma se non decidete voi di collaborare per il bene dei ragazzi, il mio provvedimento rimane carta. Se non lo fate voi, mi costringete a rivolgermi a terzi.
Il giudice mi sembra visibilmente dispiaciuto della situazione.
Mia moglie:
- I ragazzi sono eccezionali e se non vogliono vedere il signore qui presente, (così mi chiama) è solo colpa sua.
Tira fuori dalla borsa le pagelle dei ragazzi. Scoppia in lacrime. Le lacrime di una donna fanno sempre il loro effetto. Mi sembra che il giudice si intenerisca. Una scena degna del miglior Mario Merola. Così commenta il mio amico Brizio quando gli racconto l’accaduto.
L’avvocato di mia moglie insiste sul fatto che sia il giudice a sentire i ragazzi e non vengano indirizzati ad un centro di mediazione. Sono convinti che i ragazzi, interrogati dal giudice, siano pronti a dire peste e corna del padre, credo.
E’ una roba che mi strugge il cuore. Probabilmente accadrebbe, ma non riesco ancora a darmene una spiegazione.
Insistono molto su questo. Vogliono il giudice, non il centro di mediazione.
Mario è stato bravo. E’ intervenuto ogni tanto al momento giusto. Sta molto attento perchè la discussione non degeneri. Fa presente che al centro di mediazione ci siamo stati già, su mia proposta, sia io che mia moglie. Mia moglie non ha inteso continuare, dopo solo due incontri. Continuare invece sarebbe la cosa più logica.
- Noi ovviamente, saremmo favorevoli a qualsiasi tentativo teso a recuperare il rapporto padre figli. Ci affidiamo a lei, Giudice.
Si arriva ai denari.
Mia moglie nega di avere un lavoro. Il suo è a nero presso il negozio del fratello, ma asserisce di dare solo una mano saltuaria.
Arriva a negare persino l’evidenza. E’ proprietaria di un appartamento che è in affitto. Le dà un reddito di cinquecento euro al mese. Dichiara che i soldi li prende il padre perché, benchè l’appartamento sia intestato a lei, si tratta di un investimento del padre.
Il giudice e il mio avvocato si fanno una risata.
Tra qualche giorno il giudice si esprimerà con un dispositivo provvisorio.
Mario dice che è andata bene. Gli avvocati dicono sempre così.
Lo credo anche io, comunque. Male di certo non è andata.
Esco dall’aula, il clan di mia moglie sembra contrariato. Forse la parte economica non li ha entusiasmati. Per quello che hanno detto sui ragazzi, non credo si siano scomposti più di tanto. A loro cambia poco. Non riesco a capire cosa pretendano dal punto di vista economico. La loro richiesta è superiore al mio stipendio. Forse pensano che vada a rubare a notte e abbia altre fonti di reddito.
Ho mal di testa.
Anche se mi dicono che dovrei essere soddisfatto, non riesco ad essere contento. La rabbia è un grappolo di nodi. Ci metti un po’ a scioglierla. Devi farlo con calma, senza fretta. Rischi di innervosirti e di imbrogliare ancor di più la matassa. Se non sciogli tutti i nodi, non puoi distendere il filo.
Adesso arriva agosto. In Italia il diritto va in vacanza.
Ripenso a tutti questi mesi passati a cercare solo uno sguardo dei miei ragazzi.
Mi si serrano le mandibole.
Le ore che ho passato dietro la rete di un campo di calcio al freddo e al gelo per non avere nemmeno un ciao in cambio.
Le volte che mi sono avvicinato e sono stato scacciato come una mosca.
Le volte che sono andato a prenderli e sono saliti in macchina di altri.
Il dolore quando li ho incontrati e hanno cambiato strada.
L’umiliazione di essere chiamato bugiardo.
Le volte che li ho aspettati sotto casa solo per dire buongiorno e non ricevere nemmeno uno sguardo in cambio.
La tristezza infinita, le notti insonni.
I quintali di pagine scritte, i fiumi di parole spesi con consulenti, amici, specialisti e chiunque potesse dare una spalla su cui piangere o un semplice aiuto.
Le volte che ho sperato che rispondessero ad un messaggio o ad una telefonata.
Le sere che ho consolato mio padre ed il suo dispiacere.
Le telefonate e gli sms invano.
Le volte che mi sono dovuto ricucire il dolore da solo nel silenzio della campagna.
I sorrisi, fingendo forza, quando dentro di me morivo.
Le volte che ho chiesto perché e quello che mi dicevano era, abbi pazienza.
Le volte che ho avuto pazienza.
Mi sembra di essere in montagna. Fai una scalata durissima, la vetta non è la fine. E’ un buon punto di osservazione, ti dà la vista giusta per capire che la strada da fare è ancora tanta. Quello che ti spaventa è che sei stanco, ma sei solo all’inizio.