Sono due giorni che esco con mio figlio più grande, AAAAA. Andiamo insieme al garage, prendiamo la moto. Il primo giorno l’ho guidata io fino ad un grande spiazzo. Sono sceso, gliel’ho data e gli ho detto.
- Vai, non avere timore. E’ come la bici.
Avevo una paura fottuta che si facesse male, ma ho fatto finta di nulla.
E’ partito un po’ impacciato poi ha cominciato a girare. Aveva il sorriso stampato in faccia, anche se il volto era sempre un po’ teso per la prova.
Da quando è piccolo è sempre stato un tipo prudente. Lo soprannominavo prudentino. Prima di fare una cosa ci pensava, ci pensava. E’ sempre stato un gran fifone.
Agli acquascivoli, in bici e in qualunque cosa ci fosse un po’ di rischio. Lui, se non si sente confidente con ciò che deve fare, non lo fa. Cercare di convincerlo è come tirare un mulo che non si vuol muovere.
Adesso, quando gioca a calcio, sta cominciando a mettersi in barriera sui calci di punizione.
In passato mi faceva ridere, perché quando la squadra avversaria doveva tirare un calcio di punizione e c’era da formare la barriera per opporsi al tiro, lui finiva esattamente dalla parte opposta del campo. Aveva paura di beccarsi una pallonata. Acquisita la confidenza necessaria va come un treno.
Una volta lottai una intera mattinata per farlo salire su un acquascivolo. Era alto e faceva un po’ impressione. Quando finalmente ci riuscì, tra le urla della madre che non voleva che lo forzassi, non la smise più. Lasciammo l’acqua park per ultimi.
E’ un po’ diverso da me in questo.
A me la paura di aver paura fa un brutto effetto. E’ tanto forte il timore di rimanere bloccato dalla paura che spesso mi butto nelle cose come un kamikaze, pur di liberarmi dall’incubo. Qualche volta mi rompo le ossa.
Allo stesso modo con lo scooter. Il mio prudentino, dopo le prime incertezze, non ha finito più di girare.
Al giorno dopo abbiamo fatto un altro giro. L’ho portato al negozio per scegliere un casco. Quello che avevo era troppo largo per lui. Si è scelto un casco nero con la bandiera inglese. Molto carino. Quello con la bandiera italiana era finito ed ha ripiegato su quello con bandiera inglese.
Ho trattato sul prezzo, più che per avere i cinque euro di sconto, per fargli vedere che un prezzo è trattabile. Usciti dal negozio l’ho guardato, era tutto contento del suo nuovo casco, si vedeva dalla smorfia. Gli ho messo la mano in testa e gli ho scompigliato i capelli.
- Ehilà! Che casco da gran figo che ti sei preso!
Rideva, ma metteva subito il freno.
Ancora è bloccato, ho pensato.
Ho avuto sensazioni fortissime a stare di nuovo con lui. Il dialogo non è cambiato molto rispetto a prima, è solo un po’ frenato. Forse lo sono anche io e non me ne rendo conto.
Non ritengo si debba essere ‘amici dei propri figli’. La confidenza ci deve essere ma il rapporto padre – figlio va conservato. Il ruolo va mantenuto. Quando ero a casa, facevo il matusa all’occorrenza e quando mi rendevo conto che avesse bisogno di una spinta, cercavo di lanciarlo.
Mannaggia, quando ci penso, non capisco cosa è andato storto.
Mi crea grande disagio interiore questa cosa. Forse questo è un freno che sente anche lui. Ma solo la pratica reciproca può farci accelerare.
Mentre girava in moto sul piazzale, gli ho scattato delle foto. Whatsapp non me lo ha ancora sbloccato, però gli ho inviato un sms.
Ha replicato:
- grazie…
Ha aggiunto la faccina che ride.
Me la son guardata a lungo quella faccina.
Ho pensato anche tanto a cosa rispondere, poi ho scritto la cosa che mi veniva più facile.
- ti voglio bene.
Mentre eravamo in auto che ritornavamo a casa gli squilla il telefono.
Sua madre. Dalla risposta ho capito che gli chiedesse come stesse andando.
In quel momento mi è salita di nuovo la nausea. Quella telefonata aveva il solo scopo di ricostruire un muro che stavamo smantellando.
Ho provato un forte senso di umiliazione.
Come se ci fosse del pericolo per mio figlio a stare con me. Avevo fatto i calli ai modi in cui mia moglie calpesta la sensibilità altrui, ma la mancanza di pratica mi aveva scoperto la pelle, evidentemente.
Ho lasciato stare. La miseria interiore è la cosa che mi rattristisce di più nell’uomo. Un uomo che non ha umanità, non è un uomo. E’ come un’ auto senza motore, non serve.
Da piccolo, mia nonna mi rimproverava se lasciassi qualcosa nel piatto o se buttassi del cibo nella spazzatura.
- Noooooo, Paperinuccio! E’ ben di Dio, non si butta!
Vedere la miseria umana, è vedere buttato al cesso tutto il potenziale di umanità che ognuno di noi ha.
Ho rimosso il pensiero e mi sono di nuovo riconcentrato su mio figlio che nel frattempo aveva perso verve.
Si parlava di calcio, e dei nuovi giocatori comprati dalla Juventus. La nostra squadra.
Un tempo passavamo ore a parlare di calcio. E’ una passione insana che ci ha sempre legato.
Si cominciava da Maradona per finire inevitabilmente al mimo delle sue azioni durante l’ultima partita. In sostanza mi faceva i replay delle sue azioni in salotto. Uno spettacolo osceno in realtà, ma a me piaceva troppo. Adoravo la sua attenzione nei miei confronti e ricambiavo come se stessi vedendo un film di Tarantino.
Altro squillo del suo telefono. Cinque minuti dal primo.
Risponde immediatamente.
- Ciao Nonna.
…. (non sento cose viene detto dall’altra parte)
- Si si, tutto bene.
…..
- Si si tutto ok, abbiamo finito ma siamo andati in giro per il casco. Ci sentiamo dopo.
Ha tagliato corto mio figlio.
Forse l’umanità che non hanno dall’altra parte del telefono, lui la ha. Anzi la ha, ne sono sicuro ed è la cosa che mi dà la forza di continuare. La devo proteggere perché deve diventare un uomo e non una bestia.
Sabato mio figlio è voluto tornare a fare un giro in moto.
Stavolta l’ho fatto guidare da subito. Abbiamo passato tutto il pomeriggio insieme. Avremo fatto una trentina di chilometri. Ne abbiamo approfittato anche per andare a comprare quaderni e penne per la scuola. L’ho fatto guidare tutto il tempo. Io ero dietro e gli davo consigli. Mi ascoltava attento.
Sta imparando.
L’ho accompagnato all’allenamento ed aspettato che finisse. L’ho riaccompagnato a casa.
E’ stato magnifico. Un po’, il fatto che diventi indipendente mi mette tristezza. Quando guiderà, svanirà la mia unica occasione di vederlo. Mi sto suicidando con le mie mani praticamente. Ci ho pensato, non posso tenerlo in gabbia per godermelo. Deve crescere e vivere i suoi quasi quindici anni, indipendentemente dalla separazione.
La moto è stato uno strumento per riavvicinarmi a lui, non può diventare la chiave di un paio di manette. Lo utilizzerò al meglio. Poi si vedrà.
Questa mattina mia moglie mi ha scritto su Whatsapp ed ho avuto la conferma che l’avvicinarsi del colloquio al centro di mediazione le sta mettendo addosso una paura fottuta. Mi vuol parlare in privato. Chissà che complotta. Non vuole lasciare traccia la stronza. Io continuo a farla cuocere:
Moglie:
Primo. Sei pregato quando chiamo di rispondere visto che è per sapere di mio figlio che fa, visto che non mi rispondeva o almeno di scrivere un messaggio .
Secondo. le volture dei contratti di casa le hai fatte?
Terzo. BBBBB domani gioca alle 17,30 potresti andare a vederlo così poi gli chiedi di andare a firmare il cartellino in segreteria, con lui.
(Nei giorni precedenti mi aveva chiesto di andare alla segreteria della scuola calcio per firmare il cartellino del piccolo. Avevo risposto che avrei aspettato di sentire mio figlio BBBB, che non vedo e non sento dal 2 giugno. Saremmo andati insieme a firmare. Questa cosa la sta scombussolando. Il fatto che i ragazzi debbano dare conto a me di qualcosa, la manda in bestia. Per lei devo stare in un angolo e pagare all’occorrenza)
Quarto. Prima che vada al Centro di Mediazione, Giovedì pomeriggio, dobbiamo incontrarci.
Quinto. Così porto le spese sostenute per i libri e dividiamo
Fammi sapere quando hai 5 minuti grazie.
E’ un bel modo per svegliarsi alla domenica mattina penso.
Mi ricordo di quello che mi ha catechizzato Lorenza.
- Non rispondere subito. Prendi il tuo tempo e pensa. Quello che scrivo serve? O è solo un modo per sfogare rabbia? E’ utile al mio obiettivo? Fai una passeggiata e pensa a qualcosa che ti rasserena, poi rispondi.
Già, ma sono in auto. Non posso passeggiare.
Per rasserenarmi ricordo di mio nonno Onofrio. Quando ero piccolo, i genitori di mia madre vivano nella casa in cui abito ora. Mio nonno, da fabbro in gioventù, era finito in ferrovie dello Stato. Aveva fatto tutta la carriera fino a capo treno. Poi si era messo in pensione e si dedicava alla cura della terra intorno alla casa. Aveva l’uva da cui faceva il vino, e da cui continuo a farlo io con mio padre, un orto e un frutteto.
Passavo molto tempo con i nonni da piccolo e mentre lui lavorava i campi io saltellavo qua e là, intorno. Attrezzi, motori, alberi. Un parco giochi un po’ pericoloso ma pieno di giostre.
Mio nonno era un omone, e quando lo vedevo lavorare mi fermavo a guardarlo per la forza impressionante che sprigionava da quelle braccia. D’estate era a torso nudo, il che aumentava la bestialità dei movimenti.
Si svegliava alle cinque ed alle dodici era già ora di pranzo.
Mia nonna alle dodici in punto usciva sul patio della casa con una campanella. In dialetto:
- Onofriuccio! E’ pronto.
Urlava, e suonava la campana.
Mio nonno qualsiasi cosa stesse facendo, lasciava immediatamente, come se fosse stato sotto ipnosi.
Sempre in dialetto:
- Arrivo, ragazza!
La chiamava ragazza nonostante avessero più di sessanta anni.
Entrava in casa. Io lo seguivo perché non mi volevo perdere lo spettacolo.
Si avvicinava al frigo. Prima di aprire il frigo, strofinava la schiena come un orso allo spigolo del muro vicino. Si appoggiava con una mano al bancone vicino al frigo, come se le gambe da sole non riuscissero a mantenere la sua mole. Con l’altra mano apriva il frigo.
Da dentro, tirava fuori una bottiglia di vino rosso molto fredda e la posava sul banco.
Il frigo lo lasciava aperto. Al tempo non c’era l’aria condizionata e quella rappresentava una occasione per prendere un po’ di fresco nella calura estiva.
Prendeva poi una testa di sedano con le foglie e la poggiava vicino alla bottiglia.
Con un coltello modellava la parte di sotto della testa del sedano, lasciando intatte le foglie. Doveva infilarla a pressione nel collo della bottiglia lasciando le foglie fuori. Si veniva a creare una specie di filtro . Finito il lavoro di cesellatura, metteva la bottiglia alla bocca con una mano. Con l’altra mano si appoggiava sempre al banco.
Beveva a canna ciucciando attraverso il sedano. Ciucciava avidamente e faceva un rumore tipo il cra cra del rospo.
Bevuta con un sorso mezza bottiglia, la poggiava sul banco, con un braccio si asciugava la bocca e :
- Ahhhhhhhhhh!
Era uno spettacolo potentissimo ed io restavo in un angolo a guardare con gli occhi sgranati. Mi sentivo come Ulisse nella grotta di Polifemo per le proporzioni di forze in gioco.
Nulla ti dà serenità come la forza. Quando hai forza, hai la serenità di affrontare qualsiasi cosa, non temi nulla. Mio nonno era sereno.
Non era buddista mia nonno, ma aveva tanto l’aria di chi non se ne fotte niente di nulla.
Rispondo:
1 Quando hai chiamato ero fuori dall’auto che cercavo di cambiare dei soldi al bar. Sono rientrato, ho trovato la chiamata e AAAA mi ha detto ti ha chiamato la mamma, ma l’ho già chiamata io, voleva me.
2 . Per le volture, se ne occupa chi subentra che io sappia. Dimmi di che hai bisogno per farlo. Entro fine mese per favore, poi dovrò disdire
- BBBB gioca alle 17,30 ? Alle 17,15 lo vengo a prendere da casa.
O fammi sapere l’ora.
- Di cosa dovremmo parlare ?
(Ho fatto di proposito a dissimulare interesse per la cosa che invece era la più interessante delle cinque)
- Ho fatto delle spese anche io, poi conguagliamo.
Moglie: Certo quelle della scuola. Per quanto riguarda il casco o tutte le spese della moto non mi interessano, lo sai, già detto. Le volture le devi fare tu! BBBBB Non vuole venire con te.Ti fai trovare lì. Lo saluti e ti guardi l’allenamento, e poi gli chiedi di firmare così hai da parlare, hai un aggancio.
(Che donna viziata, pensa di poter comandare tutti a bacchetta, non ha capito nulla. E non gliene frega un cazzo dell’aggancio, vuole solo che firmi il cartellino)
- Per il centro di mediazione poi ti dico, altrimenti farò io.
Aggiunge altrimenti lo farò io, vuol essere una intimidazione?
(Chissà che ha da dirmi. Sarà qualche macchinazione concordata con mia suocera. Mi vorranno dire di minimizzare i problemi coi ragazzi. Vogliono distorcere le cose e concordare la versione. Credo che sia questo. Non si spiegherebbe perché non scrive e non voglia lasciare traccia delle sue macchinazioni. Adesso cerca complicità.
Altrimenti farà lei, dice. Che donna falsa, che donne false. Perché chissà chi ha fatto fino ad ora!)
Simulo ancora disinteresse per l’argomento centro di mediazione. Ribolle.
- Ma poi se ne torna con me BBBBB ?
Lei ritorna a bomba:
- Chiedi anche al tuo avvocato. Dipende da te se andiamo al centro o meno.
Faccio ancora finta di nulla.
- Cosa?
Cambia discorso anche lei.
- Chiedilo tu a BBBB. Per ora dice no. Bisogna avvicinarlo con calma e amore.
Ripenso costantemente a nonno Onofrio che si strofina la schiena sullo spigolo del muro.
- Che significa? Torna a piedi BBBB? O si presenta qualcuno di voi?
- Bisogna fare con più pazienza quindi;
Nonno mio, aiutami tu. Mi strofino la schiena sul sedile dell’auto.
- Devo domandare altrimenti se non vuole, vengo io
- Perché non ho avuto pazienza?
- Che c’entra c è ne vuole di più, chiediglielo tu.
- Non risponde da mesi, lo sai bene, come chiedo?
- Bisogna provare varie strade
- Si come no
Meglio cambiare discorso.
- Va bene, allora, fammi sapere che fai per le volture, di cosa hai bisogno. E cosa fai per le mie robe per favore, che ancora non mi hai restituito.
- Devi fare tu le volture, se stacchi ti paghi gli allacci;
- Vedremo
- Vedi tu per le volture
- Ti avviso che stacco, poi fai che vuoi
- Tocca a te chiamare e le tue robe non ci sono più. Ciao. Qui non c è nulla più di tuo. Ciao. Le chiavi? Il telecomando?
- Senti, non posso fare le volture, non posso tecnicamente, informati. Le deve fare chi subentra. Mio malgrado, sarò costretto a disdire i contratti se non ti muovi. Le chiavi appena ci vediamo te le do.
- Ok. Chiedi al tuo avvocato per il centro di mediazione e fammi sapere che cavolo vuoi fare.
(Ritorna a bomba. E’ evidente che è quello il suo cruccio. Il resto solo provocazione)
- Che voglio fare? Mica posso non andarci. Mario mi ha detto che ci devo andare e di corsa. È un ordine del giudice.
- Certo, quello si.
- E quindi?
- Se vuoi ci incontriamo e ti dico.
- Ma non capisco cosa. Che problema ci può essere?
- Nessuno!
- Che è tutto sto mistero?
- Beh, fai che vuoi. Ciao.
- Mah!
E’ turbata. Vuole cambiare le carte in tavola.
Ai tempi di nonno Onofrio era più semplice, una bella ciucciata, una strofinata e passava tutto.