Il complotto

Sono due giorni che esco con mio figlio più grande, AAAAA. Andiamo insieme al garage, prendiamo la moto. Il primo giorno l’ho guidata io fino ad un grande spiazzo. Sono sceso, gliel’ho data e gli ho detto.

  • Vai, non avere timore. E’ come la bici.

Avevo una paura fottuta che si facesse male, ma ho fatto finta di nulla.

E’ partito un po’ impacciato poi ha cominciato a girare. Aveva il sorriso stampato in faccia, anche se il volto era sempre un po’ teso per la prova.

Da quando è piccolo è sempre stato un tipo prudente. Lo soprannominavo prudentino. Prima di fare una cosa ci pensava, ci pensava. E’ sempre stato un gran fifone.

Agli acquascivoli, in bici e in qualunque cosa ci fosse un po’ di rischio. Lui, se non si sente confidente con ciò che deve fare, non lo fa. Cercare di convincerlo è come tirare un mulo che non si vuol muovere.

Adesso, quando gioca a calcio, sta cominciando a mettersi in barriera sui calci di punizione.

In passato mi faceva ridere, perché quando la squadra avversaria doveva tirare un calcio di punizione e c’era da formare la barriera per opporsi al tiro, lui finiva esattamente dalla parte opposta del campo. Aveva paura di beccarsi una pallonata. Acquisita la confidenza necessaria va come un treno.

Una volta lottai una intera mattinata per farlo salire su un acquascivolo. Era alto e faceva un po’ impressione. Quando finalmente ci riuscì, tra le urla della madre che non voleva che lo forzassi, non la smise più. Lasciammo l’acqua park per ultimi.

E’ un po’ diverso da me in questo.

A me la paura di aver paura fa un brutto effetto. E’ tanto forte il timore di rimanere bloccato dalla paura che spesso mi butto nelle cose come un kamikaze, pur di liberarmi dall’incubo. Qualche volta mi rompo le ossa.

Allo stesso modo con lo scooter. Il mio prudentino, dopo le prime incertezze, non ha finito più di girare.

Al giorno dopo abbiamo fatto un altro giro. L’ho portato al negozio per scegliere un casco. Quello che avevo era troppo largo per lui. Si è scelto un casco nero con la bandiera inglese. Molto carino. Quello con la bandiera italiana era finito ed ha ripiegato su quello con bandiera inglese.

Ho trattato sul prezzo, più che per avere i cinque euro di sconto, per fargli vedere che un prezzo è trattabile. Usciti dal negozio l’ho guardato, era tutto contento del suo nuovo casco, si vedeva dalla smorfia. Gli ho messo la mano in testa e gli ho scompigliato i capelli.

  • Ehilà! Che casco da gran figo che ti sei preso!

Rideva, ma metteva subito il freno.

Ancora è bloccato, ho pensato.

Ho avuto sensazioni fortissime a stare di nuovo con lui. Il dialogo non è cambiato molto rispetto a prima, è solo un po’ frenato. Forse lo sono anche io e non me ne rendo conto.

Non ritengo si debba essere ‘amici dei propri figli’. La confidenza ci deve essere ma il rapporto padre – figlio va conservato. Il ruolo va mantenuto. Quando ero a casa, facevo il matusa all’occorrenza e quando mi rendevo conto che avesse bisogno di una spinta, cercavo di lanciarlo.

Mannaggia, quando ci penso, non capisco cosa è andato storto.

Mi crea grande disagio interiore questa cosa. Forse questo è un freno che sente anche lui. Ma solo la pratica reciproca può farci accelerare.

Mentre girava in moto sul piazzale, gli ho scattato delle foto. Whatsapp non me lo ha ancora sbloccato, però gli ho inviato un sms.

Ha replicato:

  • grazie…

Ha aggiunto la faccina che ride.

Me la son guardata a lungo quella faccina.

Ho pensato anche tanto a cosa rispondere, poi ho scritto la cosa che mi veniva più facile.

  • ti voglio bene.

Mentre eravamo in auto che ritornavamo a casa gli squilla il telefono.

Sua madre. Dalla risposta ho capito che gli chiedesse come stesse andando.

In quel momento mi è salita di nuovo la nausea. Quella telefonata aveva il solo scopo di ricostruire un muro che stavamo smantellando.

Ho provato un forte senso di umiliazione.

Come se ci fosse del pericolo per mio figlio a stare con me. Avevo fatto i calli ai modi in cui mia moglie calpesta la sensibilità altrui, ma la mancanza di pratica mi aveva scoperto la pelle, evidentemente.

Ho lasciato stare. La miseria interiore è la cosa che mi rattristisce di più nell’uomo. Un uomo che non ha umanità, non è un uomo. E’ come un’ auto senza motore, non serve.

Da piccolo, mia nonna mi rimproverava se lasciassi qualcosa nel piatto o se buttassi del cibo nella spazzatura.

  • Noooooo, Paperinuccio! E’ ben di Dio, non si butta!

Vedere la miseria umana, è vedere buttato al cesso tutto il potenziale di umanità che ognuno di noi ha.

Ho rimosso il pensiero e mi sono di nuovo riconcentrato su mio figlio che nel frattempo aveva perso verve.

Si parlava di calcio, e dei nuovi giocatori comprati dalla Juventus. La nostra squadra.

Un tempo passavamo ore a parlare di calcio. E’ una passione insana che ci ha sempre legato.

Si cominciava da Maradona per finire inevitabilmente al mimo delle sue azioni durante l’ultima partita. In sostanza mi faceva i replay delle sue azioni in salotto. Uno spettacolo osceno in realtà, ma a me piaceva troppo. Adoravo la sua attenzione nei miei confronti e ricambiavo come se stessi vedendo un film di Tarantino.

Altro squillo del suo telefono. Cinque minuti dal primo.

Risponde immediatamente.

  • Ciao Nonna.

…. (non sento cose viene detto dall’altra parte)

  • Si si, tutto bene.

…..

  • Si si tutto ok, abbiamo finito ma siamo andati in giro per il casco. Ci sentiamo dopo.

Ha tagliato corto mio figlio.

Forse l’umanità che non hanno dall’altra parte del telefono, lui la ha. Anzi la ha, ne sono sicuro ed è la cosa che mi dà la forza di continuare. La devo proteggere perché deve diventare un uomo e non una bestia.

Sabato mio figlio è voluto tornare a fare un giro in moto.

Stavolta l’ho fatto guidare da subito. Abbiamo passato tutto il pomeriggio insieme. Avremo fatto una trentina di chilometri. Ne abbiamo approfittato anche per andare a comprare quaderni e penne per la scuola. L’ho fatto guidare tutto il tempo. Io ero dietro e gli davo consigli. Mi ascoltava attento.

Sta imparando.

L’ho accompagnato all’allenamento ed aspettato che finisse. L’ho riaccompagnato a casa.

E’ stato magnifico. Un po’, il fatto che diventi indipendente mi mette tristezza. Quando guiderà, svanirà la mia unica occasione di vederlo. Mi sto suicidando con le mie mani praticamente. Ci ho pensato, non posso tenerlo in gabbia per godermelo. Deve crescere e vivere i suoi quasi quindici anni, indipendentemente dalla separazione.

La moto è stato uno strumento per riavvicinarmi a lui, non può diventare la chiave di un paio di manette. Lo utilizzerò al meglio. Poi si vedrà.

Questa mattina mia moglie mi ha scritto su Whatsapp ed ho avuto la conferma che l’avvicinarsi del colloquio al centro di mediazione le sta mettendo addosso una paura fottuta. Mi vuol parlare in privato. Chissà che complotta. Non vuole lasciare traccia la stronza. Io continuo a farla cuocere:

Moglie:

Primo. Sei pregato quando chiamo di rispondere visto che è per sapere di mio figlio che fa, visto che non mi rispondeva o almeno di scrivere un messaggio .

Secondo. le volture dei contratti di casa le hai fatte?

Terzo. BBBBB domani gioca alle 17,30 potresti andare a vederlo così poi gli chiedi di andare a firmare il cartellino in segreteria, con lui.

(Nei giorni precedenti mi aveva chiesto di andare alla segreteria della scuola calcio per firmare il cartellino del piccolo. Avevo risposto che avrei aspettato di sentire mio figlio BBBB, che non vedo e non sento dal 2 giugno. Saremmo andati insieme a firmare. Questa cosa la sta scombussolando. Il fatto che i ragazzi debbano dare conto a me di qualcosa, la manda in bestia. Per lei devo stare in un angolo e pagare all’occorrenza)

Quarto. Prima che vada al Centro di Mediazione, Giovedì pomeriggio, dobbiamo incontrarci.

Quinto. Così porto le spese sostenute per i libri e dividiamo

Fammi sapere quando hai 5 minuti grazie.

E’ un bel modo per svegliarsi alla domenica mattina penso.

Mi ricordo di quello che mi ha catechizzato Lorenza.

  • Non rispondere subito. Prendi il tuo tempo e pensa. Quello che scrivo serve? O è solo un modo per sfogare rabbia? E’ utile al mio obiettivo? Fai una passeggiata e pensa a qualcosa che ti rasserena, poi rispondi.

Già, ma sono in auto. Non posso passeggiare.

Per rasserenarmi ricordo di mio nonno Onofrio. Quando ero piccolo, i genitori di mia madre vivano nella casa in cui abito ora. Mio nonno, da fabbro in gioventù, era finito in ferrovie dello Stato. Aveva fatto tutta la carriera fino a capo treno. Poi si era messo in pensione e si dedicava alla cura della terra intorno alla casa. Aveva l’uva da cui faceva il vino, e da cui continuo a farlo io con mio padre, un orto e un frutteto.

Passavo molto tempo con i nonni da piccolo e mentre lui lavorava i campi io saltellavo qua e là, intorno. Attrezzi, motori, alberi. Un parco giochi un po’ pericoloso ma pieno di giostre.

Mio nonno era un omone, e quando lo vedevo lavorare mi fermavo a guardarlo per la forza impressionante che sprigionava da quelle braccia. D’estate era a torso nudo, il che aumentava la bestialità dei movimenti.

Si svegliava alle cinque ed alle dodici era già ora di pranzo.

Mia nonna alle dodici in punto usciva sul patio della casa con una campanella. In dialetto:

  • Onofriuccio! E’ pronto.

Urlava, e suonava la campana.

Mio nonno qualsiasi cosa stesse facendo, lasciava immediatamente, come se fosse stato sotto ipnosi.

Sempre in dialetto:

  • Arrivo, ragazza!

La chiamava ragazza nonostante avessero più di sessanta anni.

Entrava in casa. Io lo seguivo perché non mi volevo perdere lo spettacolo.

Si avvicinava al frigo. Prima di aprire il frigo, strofinava la schiena come un orso allo spigolo del muro vicino. Si appoggiava con una mano al bancone vicino al frigo, come se le gambe da sole non riuscissero a mantenere la sua mole. Con l’altra mano apriva il frigo.

Da dentro, tirava fuori una bottiglia di vino rosso molto fredda e la posava sul banco.

Il frigo lo lasciava aperto. Al tempo non c’era l’aria condizionata e quella rappresentava una occasione per prendere un po’ di fresco nella calura estiva.

Prendeva poi una testa di sedano con le foglie e la poggiava vicino alla bottiglia.

Con un coltello modellava la parte di sotto della testa del sedano, lasciando intatte le foglie. Doveva infilarla a pressione nel collo della bottiglia lasciando le foglie fuori. Si veniva a creare una specie di filtro . Finito il lavoro di cesellatura, metteva la bottiglia alla bocca con una mano. Con l’altra mano si appoggiava sempre al banco.

Beveva a canna ciucciando attraverso il sedano. Ciucciava avidamente e faceva un rumore tipo il cra cra del rospo.

Bevuta con un sorso mezza bottiglia, la poggiava sul banco, con un braccio si asciugava la bocca e :

  •  Ahhhhhhhhhh!

Era uno spettacolo potentissimo ed io restavo in un angolo a guardare con gli occhi sgranati. Mi sentivo come Ulisse nella grotta di Polifemo per le proporzioni di forze in gioco.

Nulla ti dà serenità come la forza. Quando hai forza, hai la serenità di affrontare qualsiasi cosa, non temi nulla. Mio nonno era sereno.

Non era buddista mia nonno, ma aveva tanto l’aria di chi non se ne fotte niente di nulla.

Rispondo:

1 Quando hai chiamato ero fuori dall’auto che cercavo di cambiare dei soldi al bar. Sono rientrato, ho trovato la chiamata e AAAA mi ha detto ti ha chiamato la mamma, ma l’ho già chiamata io, voleva me.

2 . Per le volture, se ne occupa chi subentra che io sappia. Dimmi di che hai bisogno per farlo. Entro fine mese per favore, poi dovrò disdire

  1. BBBB gioca alle 17,30 ? Alle 17,15 lo vengo a prendere da casa.

O fammi sapere l’ora.

  1. Di cosa dovremmo parlare ?

(Ho fatto di proposito a dissimulare interesse per la cosa che invece era la più interessante delle cinque)

  1. Ho fatto delle spese anche io, poi conguagliamo.

Moglie: Certo quelle della scuola. Per quanto riguarda il casco o tutte le spese della moto non mi interessano, lo sai, già detto. Le volture le devi fare tu! BBBBB Non vuole venire con te.Ti fai trovare lì. Lo saluti e ti guardi l’allenamento, e poi gli chiedi di firmare così hai da parlare, hai un aggancio.

(Che donna viziata, pensa di poter comandare tutti a bacchetta, non ha capito nulla. E non gliene frega un cazzo dell’aggancio, vuole solo che firmi il cartellino)

  • Per il centro di mediazione poi ti dico, altrimenti farò io.

Aggiunge altrimenti lo farò io, vuol essere una intimidazione?

(Chissà che ha da dirmi. Sarà qualche macchinazione concordata con mia suocera. Mi vorranno dire di minimizzare i problemi coi ragazzi. Vogliono distorcere le cose e concordare la versione. Credo che sia questo. Non si spiegherebbe perché non scrive e non voglia lasciare traccia delle sue macchinazioni. Adesso cerca complicità.

Altrimenti farà lei, dice. Che donna falsa, che donne false. Perché chissà chi ha fatto fino ad ora!)

Simulo ancora disinteresse per l’argomento centro di mediazione. Ribolle.

  • Ma poi se ne torna con me BBBBB ?

Lei ritorna a bomba:

  • Chiedi anche al tuo avvocato. Dipende da te se andiamo al centro o meno.

Faccio ancora finta di nulla.

  • Cosa?

Cambia discorso anche lei.

  • Chiedilo tu a BBBB. Per ora dice no. Bisogna avvicinarlo con calma e amore.

Ripenso costantemente a nonno Onofrio che si strofina la schiena sullo spigolo del muro.

  • Che significa? Torna a piedi BBBB? O si presenta qualcuno di voi?
  • Bisogna fare con più pazienza quindi;

Nonno mio, aiutami tu. Mi strofino la schiena sul sedile dell’auto.

  • Devo domandare altrimenti se non vuole, vengo io
  • Perché non ho avuto pazienza?
  • Che c’entra c è ne vuole di più, chiediglielo tu.
  • Non risponde da mesi, lo sai bene, come chiedo?
  • Bisogna provare varie strade
  • Si come no

Meglio cambiare discorso.

  • Va bene, allora, fammi sapere che fai per le volture, di cosa hai bisogno. E cosa fai per le mie robe per favore, che ancora non mi hai restituito.
  • Devi fare tu le volture, se stacchi ti paghi gli allacci;
  • Vedremo
  • Vedi tu per le volture
  • Ti avviso che stacco, poi fai che vuoi
  • Tocca a te chiamare e le tue robe non ci sono più. Ciao. Qui non c è nulla più di tuo. Ciao. Le chiavi? Il telecomando?
  • Senti, non posso fare le volture, non posso tecnicamente, informati. Le deve fare chi subentra. Mio malgrado, sarò costretto a disdire i contratti se non ti muovi. Le chiavi appena ci vediamo te le do.
  • Ok. Chiedi al tuo avvocato per il centro di mediazione e fammi sapere che cavolo vuoi fare.

(Ritorna a bomba. E’ evidente che è quello il suo cruccio. Il resto solo provocazione)

  • Che voglio fare? Mica posso non andarci. Mario mi ha detto che ci devo andare e di corsa. È un ordine del giudice.
  • Certo, quello si.
  • E quindi?
  • Se vuoi ci incontriamo e ti dico.
  • Ma non capisco cosa. Che problema ci può essere?
  • Nessuno!
  • Che è tutto sto mistero?
  • Beh, fai che vuoi. Ciao.
  • Mah!

 

E’ turbata. Vuole cambiare le carte in tavola.

Ai tempi di nonno Onofrio era più semplice, una bella ciucciata, una strofinata e passava tutto.

Il mio cavallo di Troia

Adesso mi cerca lei.

Siamo stati convocati ufficialmente dal centro di mediazione. Il dott. Cittadini ci ha mandato direttamente lì, senza passare dal via.

La convocazione è arrivata per l’1 e il 2 settembre. Separatamente. Leggo tra le righe che è agitata. Capito?

Scrive su whatsapp:

  • Mi ha telefonato il centro di mediazione, devo andare giovedì pomeriggio ore 16,30, sarebbe meglio andare insieme. Quando torni fatti sentire che ti dico.

Ha paura la stupida.

Evidentemente si sente braccata e messa alle corde. Adesso deve dare conto a qualcuno di ciò che fa e crollano improvvisamente la sua arroganza e le sue miserie.

Sono stato qualche giorno fuori per lavoro, al rientro non l’ho chiamata e non la chiamerò. Che cuocesse nel suo brodo. Sta stronza.

L’ho pregata per un anno.

Un anno ho aspettato perché si potesse parlare con qualcuno per avere dei consigli, per capire cosa è bene per i ragazzi.

Un anno perché qualcuno aprisse la bocca per dire qualcosa di buon senso.

Un anno perché non fosse sempre tutto come dicesse lei, senza possibilità di replica, come in una dittatura.

Un anno per poter dire le mie ragioni ed essere ascoltato.

Un anno di attesa. Per reggere attese così lunghe corrodi il sistema nervoso, mi sono consumato.

Un anno senza i miei ragazzi.

Aveva il coltello dalla parte del manico e ne ha approfittato.

Che mi dicano che sbaglio adesso. Che mi dicano cosa ho sbagliato, e cosa non devo sbagliare.

Sarò tutto orecchie e metterò tutte le mie risorse a disposizione. Me lo diranno per aiutarmi, non per farmi del male.

Basta sentirmi dire che devo solo aspettare e che quanto accade è solo colpa mia.

Basta stare in un angolo a prendere schiaffi.

Basta vivere di pacche sulle spalle ed incoraggiamenti amichevoli.

Basta attese, Energie nervose per aspettare non ne ho più.

Basta approfittare dell’assenza per dire menzogne.

Basta umiliazioni.

Queste sono le speranze che nutro dal confronto che andrò a fare.

Non voglio stare in disparte e vedere i miei ragazzi cresciuti da altri senza poter mettere bocca in nulla. Io non voglio il male di nessuno, voglio solo fare il padre. Perché diavolo li avrei messi al mondo due figli?

Questa è una barbarie che è consentita da una legge che non c’è ed autorizza la follia di alcuni uomini e donne a servirsi dei figli per vendicarsi delle proprie frustrazioni.

Le rispondo via whatsapp:

  • Mi hanno convocato per venerdì e mi hanno detto che ci ascoltano separatamente.
  • Lo so, chiamami quando torni.

Non replico.

Questa improvvisa ricerca di complicità mi produce vero e proprio disgusto. Lo sento proprio sulla bocca dello stomaco. Ho anche la nausea che viene su dalla gola e mi impasta la bocca.

Adesso mi cerca per i ragazzi?

Lo so cosa non vuole. Non vuole che i ragazzi vadano al centro di mediazione.

Sarebbe disdicevole per loro e per lei.

E soprattutto non ammette che qualcuno possa dirle che quello che fa non va bene.

Per lei il problema non è che i ragazzi non vedano il padre. Questo no, questa è una cosa che se si risolve è bene, altrimenti si fa senza.

Me lo ha detto chiaramente e oltretutto aveva anche il benestare dell’assistente sociale a suo dire:

  • Signora, ci proviamo, se poi non si riesce, mica ci possiamo sparare! Hanno quindici anni quasi questi ragazzi. Devono decidere loro!

Questo quello che mi ha riportato lei e dubito fortemente che qualcuno lo possa aver detto. Ormai sono abituato a filtrare tutte le stronzate che spara. Chissà che le ha detto il dott. Cittandini e lei lo ha trasformato in un lasciapassare per la sua coscienza.

Capita a tutti di fare gli stronzi. A me qualche volta. Però io penso che bisogna avere la consapevolezza di farlo. Non puoi fare lo stronzo e non immaginare che qualcosa ti possa tornare indietro.

Accetti il rischio se ti conviene, ma il rischio lo devi conoscere.

Intanto mio figlio grande lo sto portando in auto agli allenamenti.

Parla.

Lo voglio dire piano piano. Che non si alzi troppo la voce, ho paura che se alzo la voce poi accada qualcosa e tutto ritorna come prima. Non sono più monosillabi. Cerca il discorso. E’ una cosa che mi sembra troppo bella per essere vera. Ho capito che qualcosa stava cambiando l’altro giorno.

Sono rimasto per tutto l’allenamento, speravo di poterlo riaccompagnare a casa, io. Non c’era il suo amico a cui davamo un passaggio. Saremmo stati io e lui soli.

Finito l’allenamento è uscito dal campo. Era stremato, stanno facendo una dura preparazione atletica e mio figlio, a differenza di me, suda come una fontana.

Ho incrociato il suo sguardo a distanza, mi ha fatto segno con il pollice vicino alla bocca che avesse sete.

In labiale da lontano gli ho detto:

GATORADE?

Va pazzo per il gatorade al limone.

Mi ha detto si con la testa.

Sono partito a razzo verso il bar per prenderglielo, sono scivolato.

Gli altri genitori hanno riso ed ha riso anche lui.

Non sono mai stato così contento di fare una figuraccia.

Gli ho portato il suo gatorade ed ancora sorrideva.

Continua a non rispondere al telefono e ai messaggi che gli invio. Però entra in auto e mi racconta. E’ un fiume in piena.

Sabato gli ho detto che vorrei fargli provare la moto. L’ho presa per lui a novembre scorso e tenuta in garage come una reliquia. E’ stato il mio cavallo di Troia, forse. Adesso ha fatto l’esame teorico per il patentino e deve fare la prova pratica. Gli ho detto che gli faccio fare delle guide.

Mi ha detto di si.

Gli ho detto che potremmo andare a comprare le cose per la scuola insieme.

Mi ha detto va bene.

Ieri in auto, di sua iniziativa, mi ha raccontato dei suoi nuovi amici e dei professori che non ho avuto la possibilità di conoscere.

Ho fatto lo scemo come al solito e rideva.

Ci penso tutto il giorno ma come se fosse una cosa che sta accadendo a qualcun altro. Forse la voglio tenere lontana.

Ancora mi sto dando dei pizzicotti.

Ma che rimanga tra noi, potrei pensare che sia vero.

La muta della pelle

Dopo un po’ la pazienza diventa come la pelle morta, una muta di pelle che ti porti addosso. E’ il controstampo di te che cadrà. Ti rinnoverai. La tieni perché proteggi la pelle che è sotto, troppo cruda per esporla.

Con la mia muta di pelle sono andato in Banca. Il mio avvocato aveva chiesto all’avvocato di mia moglie di poter chiudere un conto cointestato. Mia moglie mi aveva informato che avrebbe potuto solo al 16 di agosto, al pomeriggio. Poi sarebbe stata troppo impegnata per farlo. E va bene. Al 16 di agosto ci vediamo in banca alle 15, avevo risposto.

Arrivo davanti alla filiale in pieno centro. Non c’è nessuno. Visto il gran caldo magari sarà entrata, penso. Entro.

Trovo mia moglie seduta alla prima scrivania davanti ad un impiegato della banca. Mi aspettano.

Si erano già portati avanti con il lavoro, pareva.

Neanche saluto l’impiegato che non conosco e mia moglie:

  • Qui risultano due chiavette per il conto on line. Tu quante ne hai?

Il tono investigativo di mia moglie che tanto mi irritava quando stavo a casa. La chiamavo la marescialla. Che rompicoglioni Gesù, mi ero disintossicato.

  • Una, ne ho avuta sempre una.

Rispondo di rimessa.

Guardo l’impiegato con faccia interrogativa. Non parla. Pare intimorito dal tono da Gestapo di mia moglie. Non ho idea a cosa si riferiscano. Ho sempre avuto una chiavetta con cui controllo il mio conto personale e quello cointestato. Sono nella stessa banca. Mi sforzo ma non mi ricordo dell’esistenza di un’altra chiave.

Finalmente dopo qualche secondo di silenzio interviene l’impiegato.

  • Qui risultano due chiavette. Lei ricorda il suo codice cliente?

Glielo dico. Per fortuna non ho problemi di memoria ancora.

  • Si, risulta questa chiavetta e poi ce ne è un’altra che risulta agganciata al conto cointestato e ad un altro conto.
  • Guardi io ho solo questa, non so per cosa è l’altra. Non l’ho mai avuta.

Mia moglie con tono intimidatorio.

  • Dobbiamo andare a fondo a questa cosa. (Rivolta all’impiegato). Questo, (indicando me) già mi ha portato via i soldi, ci manca che controlla i fatti miei!

In quel momento mi sento di fare una capriola all’indietro. Conoscevo bene quei modi arroganti, quel timore che il mondo trami contro di lei ed il suo fare intimidatorio.

Stando a casa mi ero creato una campana entro cui vivere fatta per lo più di silenzio ed indifferenza. Mi rimetto la vecchia maschera e fisso l’impiegato che fa finta di non sentire. E’ imbarazzato più di me, smanetta sul pc alla ricerca di non so quali codici.

Mi ha dato del ladro praticamente, devo pur dire qualcosa.

  • Guardate, cercate pure, ma io ho solo una chiavetta. Cercate e appurerete certamente quanto sto dicendo. C’è bisogno di questo per chiudere il conto?

– In teoria no. Se chiudiamo il conto, le chiavette si sganciano. La perdete, ma se non la usate poco importa.

  • NO! VOGLIO SAPERE SE QUESTO MI SPIA!

Mia moglie, quasi urlando.

– Già ha portato via i miei soldi. Se mi spia gli faccio passare i guai!

La guardo sbalordito. Non ho portato via alcun soldo ovviamente. Allude ai pochi risparmi che avevo sul mio conto personale, ma che erano miei. Per mia moglie oltre alla casa e tutto il contenuto le avrei dovuto lasciare anche i miei risparmi, credo. Meno male che c’è stata la sentenza di un giudice che non ha accolto questa sua richiesta strampalata.

L’impiegato sempre più imbarazzato ed intimorito pesta sulla tastiera. Credo voglia liberarsi anche lui di noi al più presto. Intuisco che è un amico di mio suocero perché ad un certo punto chiede a mia moglie di verificare se per caso la avesse il padre, la chiave. Magari è dell’altro suo conto, le dice.

Dopo quindici anni vengo a sapere che mia moglie ha un altro suo conto in quella banca.

Mi viene da ridere. Questa donna pensa che io la spii e mi nasconde proprietà e conti correnti da quindici anni. E’ una meraviglia tutto questo.

Ho dovuto anche far vedere a mio figlio i bonifici che effettuavo per dimostrare che non era vero che li lasciassi senza soldi. E’ una roba senza senso.

Mia moglie si allontana per parlare con il padre in gran segreto al telefono.

Torna e conferma che la chiave la ha il padre.

  • Bene, non avevo dubbi.

Dico, sorridendo ironico.

  • Bene, allora provvedo a chiudere il conto se mi date l’ok.

L’impiegato ha fretta di sbarazzarsi di noi.

  • Per me va bene.
  • Voglio essere sicura che non possa controllare i miei conti con la sua chiavetta!

Tuona ancora mia moglie.

Oramai rido. Guardo l’impiegato con la faccia sorridente. Lui però non si permette di contraccambiare. O è serietà, o ha i coglioni a terra o ha paura di far brutta figura con mio suocero che oltre ad essere un buon cliente, deve essere suo amico.

  • Senti, non sapevo nemmeno che tu avessi questo conto, come faccio a controllarlo con la mia chiavetta?
  • Si si, non mi fido di te. Siete tremendi voi, ci manca pure che mi spii oltre a derubarmi.

Butto le spalle in giù, non so più come replicare. L’impiegato, dopo aver smanettato un altro po’ dice a mia moglie di stare tranquilla. Con la chiavetta vedo solo il mio conto.

Conoscendola non è convinta ma non me ne frega assolutamente nulla. Ho solo voglia di sciogliere l’incontro.

Ci eravamo messi d’accordo per discutere dei ragazzi all’uscita dalla banca. Sento che non è un buon momento per parlare dei ragazzi. Ho già il disgusto sullo stomaco. Sarebbe meglio rimandare per essere più neutri per affrontare un discorso così importante. Significherebbe prendere un altro appuntamento e la cosa mi disturba ancora di più. Decido di affrontarla anche in quelle condizioni.

Nei giorni precedenti siamo stati convocati dall’assistente sociale del Comune.

Il giudice aveva inviato il provvedimento anche al servizio. Ci hanno chiamato per sentire i nostri problemi.

Intorno alle 12 dell’11 agosto mi arriva una telefonata da un certo Dott. Cittadini

  • Buongiorno Signore, sono il Dott. Cittadini, assistente sociale del Comune di Paperopoli. La chiamo per il provvedimento emesso dal giudice in merito alla sua separazione e alla situazione con i ragazzi che lei non riesce a vedere.
  • Ah si, mi dica pure.
  • Ho appena finito di sentire sua moglie, è andata via cinque minuti fa.Dovremmo incontrarci.
  • Mi dica lei. Io sono in città non mi muovo.
  • Guardi, noi potremmo vederci oggi, se le è possibile, altrimenti se ne parla il 29 perché poi io sono in ferie, signore.
  • Per me va bene anche oggi, vengo nel pomeriggio?
  • Guardi noi siamo qui fino alle 14.
  • Vengo subito allora, non c’è problema.

 

Mi dice l’indirizzo presso cui trovarlo e mi dirigo da lui.

Lorenza del Centro di Mediazione mi aveva spiegato che per prassi tutti i provvedimenti del tribunale passano dal servizio del Comune,  per essere poi smistati ai vari servizi di supporto.

Il centro è un edificio che mi sembra una scuola materna. L’accesso avviene attraverso dei cancelli in acciaio chiusi a chiave. Sembra di essere in un carcere. C’è una signora che ha un mazzo di chiavi da secondino in mano e prima di aprire chiede informazioni sul motivo della visita.

Dopo aver spiegato che ero stato chiamato dal Dott. Cittadini, apre e mi dice di proseguire per il corridoio. In fondo a destra.

Sono le indicazioni tipiche di un cesso, penso.

Busso ed entro nella stanza. Il Dott. Cittadini è un ragazzo, giovane, poco più di trenta anni, mi sembra. Alto, moro, con la barba, di bella presenza.

Mi chiama signore e alterna il lei al tu. Un po’ indeterminato.

Rompo gli indugi e gli chiedo di poterci scambiare del tu. Acconsente ma continua sempre a chiamarmi ‘signore’.

-Signore, raccontami un po’ dei problemi con i ragazzi. Dimmi tutto ciò che vuoi. Io ho parlato con tua moglie, e lei mi ha raccontato la sua storia. Ora vorrei sentire la tua.

Il ‘signore’ già è una parola che stride come un gesso sulla lavagna quando non scivola, accoppiato al tu, mi sembra di grattarci con un pezzo di ferro. Provo un senso di fastidio.

Questo tipo ha in mano molto di me, non posso consentirmi commenti fuori posto per ora, senza conoscerlo. Magari diventiamo amici più in là e posso fare qualche battuta. Per ora meglio mantenere un certo formalismo e sano distacco.

Racconto la mia versione dei fatti, lui mi ascolta.

E’ completamente diverso da Lorenza.

Con Lorenza mi sentivo al centro dell’attenzione mentre parlavo, della sua e della mia.

Con il Dott. Cittadini è sempre lui che tiene la scena. Nel momento in cui mi precisa che ha due lauree e qualche Master comprendo che ho di fronte un giovane. Sembra preparato ma denuncia un po’ di inesperienza.

In genere, sventola i propri titoli chi ha bisogno di ricordarlo anche a se stesso di averli. L’esperienza è ago e filo per cucire addosso un titolo, senza esperienza è solo carta da sventolare.

Non è una cattiva persona. Giovane e pieno di sé come è giusto essere alla sua età, sento che manca un po’ della profondità necessaria per contenere i miei problemi.

Come se avessi tanta roba da sistemare e solo una valigetta a disposizione di fronte a me.

Finisco il mio racconto e mi rendo conto che si finge mio complice. Lo fa per carpire quante più informazioni possibile, il suo intento è palese. Con me dà addosso alle moglie rompipalle, con le moglie dà addosso ai mariti stronzi. Sto al suo gioco, non ho voglia di mettermelo contro.

Mi ha dato un po’ di informazioni sul racconto di mia moglie. Lo sento indispettito perché pare che mia moglie si sia presentata al colloquio con la solita amica psicologa. Lui non deve averla presa molto bene. Da quanto ho capito, ha letto la cosa come una intimidazione nei suoi confronti. Ha messo la psicologa alla porta con fermezza. Almeno lui riesce a metterla in riga mia moglie.

Mi ha raccontato che l’ha intimorita per cercare di scuoterla. Le ha detto che se non si dà una mossa è costretto a segnalare la situazione al tribunale dei minori.

– Non lo farò mai, questo lo dico a te signore, ma è un modo per scuotere la signora.

Mi ha poi detto che mia moglie si dichiara follemente innamorata di me.

Il suo commento è stato:

  • Tutte uguali le donne, prima ti crepano e poi si dichiarano pentite.

Anche questo faceva parte del suo modo per instaurare un regime di confidenza. Almeno l’ho letta così. Mi è sembrato un pettegolezzo però, più che una confidenza.

Sia il pettegolezzo che la confidenza sono un flusso di informazioni. Con il pettegolezzo offri una informazione impersonale e la puoi dare a chiunque, con la confidenza offri anche un pezzo di te e lo fai con chi pensi che la tenga con cura.

Mi ha lasciato il suo numero di cellulare, è stato molto gentile. Non posso dirne male. Un ragazzo preparato ed entusiasta, solo un po’ crudo.

Quando andavo a parlare con Lorenza al centro di mediazione mi sembrava di fare una visita di quelle approfondite, come da uno specialista, con lui mi è sembrato di andare alla visita medica per il rinnovo della patente.

Al pomeriggio mi scrive con Whatsapp mia moglie:

  • Ti ha per caso contattato il dott. Cittadini?
  • Si, mi ha contattato, lo ho incontrato
  • Oggi?
  • Si mi ha telefonato e detto che aveva visto te. Sarei potuto andare oggi o il 29. Sono andato oggi.
  • Come sei rimasto d’accordo?
  • Sono rimasto d’accordo che devo farmi sentire dai ragazzi e provare a vederli e che tu mi aiuterai.
  • E del centro di Mediazione?
  • Non capisco, dopo Ferragosto li chiamo e provo a vederli. Che centro?

Fingo di non sapere nulla delle minacce che Cittadini ha fatto a mia moglie.

  • Per la famiglia. Non ti ha detto che avrebbe inviato le carte al Centro di Mediazione?
  • Non è lui il Centro di Mediazione?

Preferisco fare il vago, non voglio dare punti fermi a mia moglie. Credo che se si spaventasse un po’, la cosa avrebbe un buon effetto sulla sua disponibilità.

  • Lui è un assistente sociale.
  • Non abbiamo parlato di questo, mi ha detto che dobbiamo trovare una soluzione altrimenti deve prendere dei provvedimenti.
  • Allora sarebbe meglio risolvere da soli senza far coinvolgere queste parti per il bene dei ragazzi, con pazienza.
  • Li ha chiamati il giudice, lui dovrà relazionare.
  • Non sarebbero belle cose per i ragazzi, che non se lo meritano. Se hai dieci minuti, ti spiego. Forse non hai afferrato o non ti hanno spiegato. Tu quanto sei stato?
  • Un’ora.
  • Io tre, forse non hai capito tu.

Per mia moglie, qualsiasi cosa si misura di quantità. Anche una conversazione si misura a tempo. Non conta ciò che ti sei detto. Hai capito di più perché la conversazione è durata di più.

Non ha importanza se hai capito o meno un concetto, ma quanto tempo lo hai studiato.

Cittadini mi ha chiesto di smorzare i toni e lo faccio.

  • Senti, dammi una mano e vediamo di sistemare il tutto. Incominciamo dopo ferragosto. Senza polemiche e nulla. I ragazzi devono stare con me i fine settimana, lavoriamo per raggiungere questo obiettivo.
  • Devi arrivarci gradualmente, forse non hai capito.
  • Forse non hai capito tu. Bisogna darsi da fare e in fretta. Altrimenti mandano i documenti al tribunale dei minori. Non ti è chiara la gravità di quanto sta accadendo, forse, e di quanto è accaduto per un anno. Rimbocchiamoci le maniche e vediamo di sistemare.
  • Ma allora intanto basta che ti inizino a vedere, con calma, tu non hai capito.
  • Va bene, tutto va bene, purchè si inizi. Bisogna dare segnali di miglioramento
  • Poi ci aggiorniamo e se va al tribunale dei minori dipende da noi.
  • Certo, bisogna evitarlo a tutti i costi.
  • Ah meno male!
  • Settimana prossima aiutami ad incontrarli
  • I fine settimana alterni… questo non è stato stabilito dal giudice, vedi intanto di riavvicinarti che è già tanto o passare qualche ora con loro che già sarebbe molto, il resto si vede, ciao.
  • Certo, magari… sarei felice

Tutto questo è accaduto prima di Ferragosto. Il tenore dell’incontro dopo ferragosto, in banca, mi ha spiazzato. Temo di aver capito però.

Esiste la parte di mia moglie che deve rigare dritto. Probabilmente le hanno detto di non far la stupida sia il suo avvocato, sia il suo entourage. Ne va del buon esito della causa.

Anche ribadire all’assistente sociale che è innamorata di me ancora, fa parte del copione. La separazione con addebito che chiedono, funziona se lei fa la parte della innamorata, abbandonata. Recita il ruolo di vittima.

Intanto, quando meno te l’aspetti accade l’imponderabile.

Un mio amico mi manda degli screen shot tratti da facebook. Non sono iscritto a facebook e quindi posso leggere solo in questo modo.

Si tratta di mio cognato, fratello giovane (34 anni) di mia moglie proprietario del negozio di abbigliamento presso cui lei lavora.

E’ in vacanza a Porto Cervo, con la sua nuova fiamma, una giornalista che non conosco.

I suoi amici negozianti commentano e gli dicono di tornare presto perché mia moglie da sola al negozio non ce la fa, la vedono esaurita.

Il mio amico mi ha mandato le foto perché è una prova che mia moglie lavora al negozio. Lei nega di farlo, solo per spillarmi più soldi. Lavora in nero, non è assunta.

Con un ghigno mando le foto a Francesco, il mio migliore amico, avvocato. Non disturbo Mario, il mio avvocato nella separazione. E’ ferragosto quasi. Lo lascio in pace.

Francesco mi chiama.

  • Non pensi che possa servire nella causa? Gli chiedo.
  • Certo che serve. Non sapevo si fosse messo con Miriam.
  • La conosci?
  • Si, è una giornalista. Tu non la conosci?
  • No
  • Ah, sei uno dei pochi. Lo dice ridendo e capisco che è un commento ironico sulla facilità di cambio partner della ragazza.

Ridiamo pensando a mia suocera che fa tanto la castigatrice di costumi e si ritrova in casa il meglio della sregolatezza.

Dopo un paio d’ore mi telefona di nuovo Francesco.

  • Il diavolo a volte si diverte.
  • Ah si?

Rido. Lo conosco da troppo per non capire che ha qualche buona notizia da darmi.

  • Che bolle nella pentola del diavolo?

Ci sono alcune persone che sono sempre al centro della notizia. E se non lo sono, ci mettono poco ad entrarci. Francesco è uno di questi.

  • Mi ha chiamato un ex di Miriam, uno dei tanti! Ho commentato il fatto che si fosse messa con tuo cognato e sai che mi ha detto?
  • Cosa?
  • E’ indagato in una operazione dell’antimafia che riguarda lo spaccio di cocaina.
  • Nooooooooo….
  • Siiiiii… che coglione.
  • Ma come? E quando? Non so nulla!
  • Pare che siano riusciti a insabbiare la notizia ma è stato coinvolto con intercettazioni telefoniche in una grande operazione della procura. Verso fine maggio.
  • Quell’imbecille? L’antimafia? La cocaina? Non ci posso credere.
  • Così mi ha detto. Pare che siano andati a casa e l’abbiano perquisita anche.

Mio cognato vive in una dependance ricavata nella villa di mio suocero. Per un attimo il pensiero di mia suocera annusata dai cani dell’antidroga mi ha prodotto un brivido di piacere.

  • Ma tu guarda! Ma quello è un coglione. Possibile sia coinvolto in una roba del genere?
  • Guarda, vedo di verificare, ma questo amico mi ha detto che lui è a ruota per il consumo e pare sia finito nell’inchiesta proprio per le continue intercettazioni telefoniche che aveva con i venditori. Non so molto altro. Quando riapre il tribunale vedrò se riesco ad avere qualche informazione in più.

Rimango senza parole. Mio cognato è poco più che un ragazzo e non riesco ad immaginarlo in un tale casino e giro vizioso.

Faccio una rapida ricerca su internet. Il suo nome effettivamente compare tra gli indagati a piede libero di una maxi operazione dell’antidroga avvenuta verso fine maggio.

L’operazione coinvolge più province ed il suo nome compare solo nell’edizione del quotidiano della provincia limitrofa alla nostra. Nell’edizione della nostra provincia ci sono i nomi degli arrestati, ma non quello degli indagati a piede libero.

Collego anche il fatto che alla cresima di mio figlio piccolo, il due giugno, non fosse presente.

Mi dispiace per lui. Un ragazzo che si rovina la vita con la droga è sempre un peccato.

Poi penso al fatto che non abbia mai assunto mia moglie, dicendo che non ce l’avrebbe fatta a pagarle i contributi.

Penso alle tante volte in cui i miei ragazzi sono stati da lui in casa a giocare alla playstation .

Penso alle volte che mia moglie ha fatto accompagnare i miei ragazzi da lui in auto, facendoli sfilare davanti a me.

Penso alle volte che mia moglie e mia suocera hanno avuto da ridire sulla moralità della gente, per cose molto meno gravi.

Penso anche a qualche soggetto losco che girava intorno al negozio ogni tanto.

Penso tanto.

Non so gioire per le disgrazie altrui, ma francamente la notizia mi restituisce un senso di equilibrio nuovo. Non per la tragedia di mio cognato. L’ho visto crescere e realizzarsi, non posso essere contento di una sua disgrazia.

Sono contento come quando finivo un esercizio di analisi matematica molto complicato. Controllavo il risultato sul libro e coincideva con il mio.

E’ la vita che è un teorema esatto. Generalmente gli schiaffi che prendi sono proporzionali a quelli che hai dato. Troppe volte avevo sentito il clan di mia moglie fare i moralisti sulla condotta di vita altrui. Quanto accaduto è un riequilibrio che la vita si stava prendendo. Il risultato torna nella vita.

Ora c’è da preoccuparsi dei ragazzi. Non voglio speculare sulla notizia. Non posso nemmeno trascurarla. Se fossi stato a casa avrei dedicato attenzione alla cosa. Voglio fare come se fossi a casa. Da padre non mi sono dimesso.

Intanto fuori dalla banca alla prima parola di mia moglie contro me e i miei cari le ho fatto capire di sapere della cosa.

Non se l’aspettava, forse pensavano di aver insabbiato la notizia.

Mi ha minacciato. Mi ha detto che mi avrebbe querelato se avessi detto una cosa del genere in giro. Dopo, ho anche ricevuto la telefonata di mio suocero. Non ho risposto. Probabilmente voleva minacciarmi anche lui.

La cosa deve aver comunque scosso il clan.

In questi giorni mia moglie ci tiene a certificare che lei rivolge ai ragazzi le mie richieste con insistenza. Come se questo bastasse ad assolvere il suo impegno alla collaborazione.

Siamo rimasti d’accordo che invito i ragazzi e lei si fa parte diligente nel veicolare e sponsorizzare la richiesta. Ieri

  • Ho scritto ai ragazzi, non rispondono.
  • Non vogliono venire, evidentemente bisogna inventarsi altro;
  • Con questa autonomia che gli lasci non fai una buona cosa, più che ripetertelo all’infinito, non posso. Quando ci sarà bisogno di me, non potrò nulla.
  • Parli e basta, non ti fai venire idee e sai solo accusare, non fai altro.
  • Proverò con i segnali di fumo. Che idee posso trovare se non mi parlano, non mi rispondono, non li vedo.
  • Se facessi meno il professore. Se usassi meno arroganza e più amore forse ci riusciresti.
  • Certamente, hai tu qualche idea?
  • Bisogna trovare qualcosa come la moto per AAAAA anche per BBBBB. Pensa anche tu.
  • Fin tanto che nonni, zii, amici e tu vi sostituirete al padre, non servirà a nulla. Arriverà il momento che avranno bisogno del padre e non potrete più sostituirvi. Allora sarà dura. Ci sono delle cose che devono fare col padre, senza discussioni. Sottolineo ‘devono’.
  • Ma chi ti vuole sostituire, cerca di rientrare nel tuo ruolo che non hai saputo gestire. Tra l’altro con BBBB non hai mai avuto un gran rapporto. Poi è testardo. Pensa ad una idea piuttosto che addossare colpe. Buona giornata.
  • Non servirà solo l’idea. Non si comprano queste cose. Ci vogliono regole per i figli.
  • Regole che hanno più di ogni altro ragazzino, caro.
  • Ti dico solo ciò che penso vada fatto e tu non fai. Puoi solo tu adesso. Devi dirgli che devono vedere il padre come gli dici di fare i compiti, per ora. E’ una regola che non hanno. Non lasci scegliere se fare o meno i compiti. Invece lasci scegliere se vedere o meno il padre. Pensaci. A lungo andare questo diventerà un danno.
  • Pensa tu a quello che puoi fare e non fare l’arrogante.
  • Immediatamente, dare una regola senza discussioni. E’ semplicissimo. Ci vogliono meno di due secondi. Domani andate a trovare il nonno con vostro padre! Punto.

A parti invertite avrei fatto lo stesso. Più tempo passa, più gli fai fare ciò che vogliono, più sarà difficile.

 

Mi chiama Mario, il mio avvocato nella causa di separazione.

  • Paperino che è successo?
  • Perché?
  • Ho ricevuto una mail dall’avvocato di tua moglie.
  • Ah, e che dice?
  • Dice che tu ti approcci a lei con arroganza e la devi smettere altrimenti prenderà provvedimenti.

 

Una volta in un rettilario vidi un serpente, un pitone che cambiava pelle. La pelle morta si distaccava piano e tutta in un pezzo. Era squamata e opaca. Era tanto spessa e consistente che pareva che il serpente si stesse sdoppiando. Sotto, c’era la pelle nuova. Lucida, bella, color grigio verde. Sembrava metallizzata, conteneva un serpente nuovo.

Ogni tanto penso a come andrà a finire questa storia. Vorrei che i miei ragazzi un giorno leggessero di questa pelle che si sta staccando fatta di amore, rabbia, pazienza, tentativi, cose giuste e tanti errori del padre che non sarò più. Stanno cambiando loro e cambierò anche io inevitabilmente. Ci ritroveremo forse, ma saremo altri.

Questa pelle che si sta staccando la sto conservando in queste pagine, per loro.

L’incontro

P: Allora

M: Allora

P: Parliamo dei ragazzi, che proposta hai.

M: Non è che ho una proposta

Sai come funziona un centro di mediazione?

Mandare i ragazzi ad un centro di mediazione è una vera cattiveria.

P: Ma quella è una seconda ipotesi che ha previsto il giudice

M:No quello è un parere che avete espresso voi in prima analisi

P: Quello viene tirato in ballo se non troviamo un accordo, quindi cerchiamo di trovare un accordo tra di noi.

M: Trovare un accordo tra di noi che significa, perché mandare i tuoi figli al centro di mediazione…a parte che non verrebbero mai. Che padre sei che vuole il centro di mediazione per i figli?

P: Ascolta quella è una cosa che ha stabilito il giudice ma solo se non troviamo un accordo noi.

M: Ma tu sai che cos’è un centro di mediazione? Ti sei informato? Ti sembra un posto dove mandare i tuoi figli?

P: Ascolta io devo vedere i ragazzi?

M: Chi te lo impedisce?

P: Tu devi collaborare fattivamente, che proposte concrete hai?

M: Devi essere più costante, non è che puoi chiamare una volta e poi sparisci!

P: Costante? Sparisco? Ma se sono mesi che provo a chiamarli e mando messaggi e non mi rispondono mai!

M: hanno una età di 14 e 13 anni non mi fanno nemmeno avvicinare al telefono. Più che dire avete risposto? Ma Papi vi ha chiamato?

P: Non mi basta. Io ho il diritto di visita e un weekend ogni due. Se non riusciamo a trovare un accordo ci dobbiamo avvalere dell’aiuto di terzi.

Il Giudice ha detto:

– I ragazzi devono vedere il padre.

M: Certo che devono vedere il padre. Ma se non vogliono?

P: Se non vogliono evidentemente c’è qualche problema! E bisogna indagare su questo problema.

M: Sarà sofferenza, sarà dolore.

P: Quello che è!

M: Tu perché quando ha fatto l’esame non gli hai chiesto al bambino se aveva bisogno e se aveva bisogno che lo accompagnassi?

P: Come non gliel’ho chiesto, ma che dici?

M: A me ha detto che gli hai detto solo in bocca al lupo.

P: No no, gli ho mandato tre messaggi per chiedergli se volesse che lo accompagnassi, se avesse bisogno, non mi ha mai risposto.

Evidentemente stanno incominciando a dire bugie anche.

M: No non bugie. Io gli ho chiesto se tu gli avessi chiesto, lui mi ha detto che poi dopo l’esame gli hai scritto.

P: No no no, ci mancherebbe, ti dico subito.

E’ preoccupamente che cominci a dire bugie, conoscendo AAAAA è preoccupante.

Allora:

Il due agosto: hai bisogno che ti porti? Fammi sapere se vuoi che ti venga a prendere.

Nessuna risposta.

Il tre agosto:Buongiorno AAAAA hai bisogno che ti venga a prendere per l’esame?

Il quattro agosto: Buongiorno figlio mio, in bocca al lupo.

Non mi ha mai risposto.

M: e perché non sei andato alla motorizzazione!

P: ma se non sapevo l’orario, non mi ha mai risposto!

E poi cosa dovevo fare? Trovarmi lì con qualcuno di voi? E lui che non mi guardava come tutte le altre volte?

Ti sei dimenticata che mi hai ripreso con la telecamera quando sono venuto sotto casa che non mi rispondevano al telefono?

M: Io non ti ho ripreso, ti ho fatto solo una foto perché tu eri immobile.

P: Quindi mi hai ripreso perché ero immobile?

M: Eri immobile, eri immobile. Gli hai chiesto a tuo figlio BBBBB della tesina ?

P: BBBBB non mi risponde da quando gli hai detto che non voglio mandarlo in vacanza.

M: Ma che dici, da molto prima che non ti risponde.

P: Mi ha scritto, perché non vuoi mandarmi in vacanza? Chi glielo ha detto? L’uccellino?

M: Non lo so, io gli ho detto che saremmo andati e aspettavamo la tua autorizzazione.

Comunque è una vita nuova per loro.

P: Ma perché dire queste cose ai ragazzi?

M: Ma tu li leggi i messaggi tuoi? Io ho solo detto non so se possiamo andare….

P: Va bene ci sono stati degli errori, lasciamo perdere chi li ha commessi. Mi dici quando posso venire a prendere i ragazzi?

M: Non è che vieni e te li prendi e loro non vogliono.

P: Ho capito, il giudice ha stabilito dello cose. Mi spieghi come intendi rispettarle?

M: Ci vuole pazienza, devi lavorarci dietro.

P: Io ci lavoro da un anno, non rispondono al telefono e non è una cosa normale.

M: Devi essere più costante.

P: Ma se li cerco in continuazione!

M: Tu chiami una volta e non ti fai sentire più!

P: Ma che dici!!!!

M: Oggi hai chiamato?

P: ma che significa? Sono mesi che non mi rispondono! Oggi ho mandato due messaggi! Non mi hanno risposto!

M: E’ chiaro tu li ricatti!

P: ma non dire così, sono le parole che poi mi ripetono loro.

M: Ma che dici , non lo ho mai detto a loro.

P: me lo scrivono!

M: Guarda sono loro che lo dicono a me, non io a loro. Quando BBBBB ti ha chiesto le cartucce della stampante, perché gli hai detto che le compravi se veniva con te.

P: ma perché non lo vedevo da mesi!

M: Ci vuole amore, falle le cose senza chiedere nulla in cambio.

P: Secondo me non va così ma ognuno gestisce le cose a suo modo.

M: la moto allora. Hai fatto la moto. Perché non l’hai lasciata?

P: Primo, mio figlio deve ancora fare l’esame. Secondo, non posso lasciare la moto in mano ad un ragazzo che non risponde al telefono, non dice dove sta, non so con chi è. Ma stai scherzando? E devo avere tripla preoccupazione.

M: Tripla preoccupazione, e allora io?

P: Tu cosa? Quando risponderà al telefono, mi dirà con chi e dove sta, allora possiamo pensare di fargli guidare la moto!

M: E allora non la compravi.

P: la moto è mia infatti.

M: Si tua, gli hai fatto prendere il patentino e tutto il resto. Io ho accettato solo perché si avvicinasse. Però non voglio.

P: Non è un problema, non vedrà la moto. Avrà il patentino che potrà servirgli.Gli ho chiesto delle guide ma ancora non mi risponde.

M: Ma devi essere più umano devi dare amore.

P: Ok, devo dare amore. Io devo vedere i ragazzi. Che proposte hai?

M: Per quando vuoi figurati, che ti credi che per me è una fatica. E li ho tenuti al top come sempre, da sola.

P: Bene sei stata eccezionale.

M: Si si, me lo dicono tutti, guarda.

P: Mi fa piacere, detto questo?

M: detto questo non voglio andare al centro di mediazione.

P: Concretamente, il giorno di ferragosto che dovete fare?

M: non c’è in programma nulla

P: Posso venire a prendererli?

M: Non è che puoi venire e prenderli, mica sono un pacco.Che quando venivi a prenderli a me faceva piacere, cosa credi che a me piaccia fare avanti e dietro?

P: Vedi ci sono tanti episodi che mi hanno dato dimostrazione diversa.

M: Ma che dici.

P: Senti lasciamo perdere il passato. Guardiamo al futuro.

M: Allora non è che mo prendi dei ragazzi di quattordici anni e te li porti.

P: Non prendo niente, i ragazzi devono vedere il padre e i parenti del padre. Non lo dico solo io, lo dice anche il giudice. Partendo da questo presupposto dobbiamo trovare un accordo in tal senso.

M: Il giudice te lo ha detto tante volte, lei deve essere più presente. Sig. Paperino non è che può farsi vedere un giorno e poi sparire.

P: Guarda il giudice non sa, più costanti di me ce ne sono pochi.

M: Si e che hai fatto?

P: Sono andato a vedere gli allenamenti per mesi, senza che mi salutassero.

M: E perché te ne andavi e non ti fermavi?

P: Ma se entravo negli spogliatoi pure e non mi salutavano.

M: Tu ti devi avvicinare.

P: Senti, tu mi stai solo provocando forse.

M: Che sei venuto sotto casa quei giorni cosa hai concluso.

P: Senti lasciamo perdere il passato.

M: No cosa hai concluso.

P: Ho concluso che mi hai ripreso con la telecamera come uno stalker.

M: Non riprendevo, ti ho fatto una foto.

P: Riprendevi, ma lasciamo stare il passato, parliamo del futuro.

M: Non riprendevo, Ho fatto una foto perché volevo far vedere che tu stavi immobile.

P: Con una foto? Senti lasciamo perdere il passato.

M: Si volevo far vedere che stavi immobile.

P: Bene facevi una foto e questo è educativo? Davanti ai ragazzi mi fotografavi come dici tu, non mi riprendevi con la telecamera, per dimostrare che stessi immobile? Senti lasciamo stare, parliamo del futuro, scordiamoci il passato.

M: Bene non puoi venire e pretendere di prenderli.

P: Senti lo ha stabilito anche il giudice che devono vedere il padre. Il giudice ha stabilito il diritto di visita 3 volte a settimana e poi un weekend a testa. Se non troviamo un accordo noi dobbiamo farci aiutare da terzi.

M: I giudice non ha stabilito questo, ha detto a discrezione dei genitori.

P: bene non lo ha stabilito il giudice, è la mia richiesta, lo troviamo un accordo?

M: Non puoi pretendere, devi avere la pazienza…

P: Bene, non troviamo un accordo. Ci rivolgiamo a terzi.

M: Fai una cattiveria nei confronti dei ragazzi.

P: Non è una cattiveria, è un tentativo di aiutarli.

M: No guarda, è una cattiveria.

P: Ma se tu non riesci a metterli in queste condizioni…

M: Mica ci devo riuscire io.

P: ma sei tu che hai un rapporto con loro!

M: Guarda, se leggiamo la sentenza non parla proprio del diritto di visita.

P: Senti diciamo agli avvocati che non troviamo un accordo, è meglio.

M: no, sei tu che non hai la elasticità necessaria. Bisogna arrivarci per gradi.

P: Non c’è più nulla da graduare.

M: Parleranno col giudice e diranno loro perché non ti vogliono vedere, a quindici anni c’è il consulto.

P: Il giudice si è espresso già! Entro agosto se non troviamo un accordo interviene il centro per la famiglia.

M: E tu questo vuoi?

P: No, se possiamo evitarlo.

M: E no perché tu minacci.

P: Ma che minaccia, non lo dico io, lo ha stabilito il giudice! Leggi.

Rilegge la sentenza che si è portata dietro. Non trova il punto.

Glielo trovo io.

P: In caso di mancato accordo, i minori dovranno seguire le indicazioni del centro per la famiglia!

Dovranno…..

Quindi troviamo noi l’accordo, dico io.

M: Non dice entro agosto, tu non hai l’elasticità e la pazienza di aspettare.

Ci sono casi in cui passano anni.

P: non devono passare!

M: Devi avere pazienza, hai sbagliato tu.

P: va bene ho sbagliato io, pazienza.

M: Sei hai aspettato un anno, puoi aspettare anche altri due o tre mesi.

P: Non c’è da aspettare più, basta. Oggi hanno bisogno del padre, non domani né dopodomani. Oggi.

M: A me lo stai dicendo?

P: Bene. E perché vuoi rimandare di due o tre mesi.

M: Io non voglio rimandare, bisogna avere pazienza, può essere una settimana, può essere un mese. Si può anche parlare in quattro. Cosa che era stata detta, anche per far vedere che i rapporti sono distesi.

P: Perfetto, io sono aperto a tutto. Ho una sola perplessità. Non riusciamo ad avere un dialogo a due e ci riusciamo in quattro? Ma comunque proviamo, perché no.

M: Ci vuole tempo, loro hanno subito tanta pressione. Dovevamo parlare in quattro e non lo abbiamo mai fatto.

P: Bene, facciamolo.

M: Ma devi aspettare.

P: Senti aspetto da troppo. Se non ce la facciamo noi, andiamo da chi ci aiuta.

M: Non al centro della famiglia, là li rovinano i ragazzi.

P: Non lo ho stabilito io!

M: Tu sbagli l’approccio.

P: Sei tu che devi essere più incisiva, quando vuoi gli fai fare le cose. Tu puoi. Se tu vuoi, loro lo fanno.

M: Io glielo dico ogni giorno.

P: No, non è questione di dirglielo, è questione di farglielo fare. Tu puoi. Ripetere una cosa solo per sciacquarsi la bocca non va bene. A quattordici anni i ragazzi devono fare quello che dicono i genitori. Devono….

M: In una condizione normale, non in questa.

P: Ancor di più in questa. Anzi, ancor di più.

M: Secondo me bisogna arrivare con la gradualità

P: Con la gradualità stiamo andando sempre peggio.

M: Ma che dici peggio.

P: Ma ti rendi conto che non mi rispondono da mesi o no? Io non so che fanno. Dove sono, non so nulla.

M: Quante volte hai chiamato?

P: Vuoi un couter delle telefonate? Non lo so…. E’ inutile che ci pigliamo in giro.

M: Tu pensi che a me rispondono facilmente? Ci ho messo un bel po’ per farmi rispondere.

P: Allora se ci sei riuscita per te, puoi riuscirci per me.

M: Io lo faccio.

P: Non lo fai.

M: Lo faccio ma non mi ascoltano.

P: I ragazzi devono fare quello che dice il genitore. Ma lasciamo perdere il passato, pensiamo a cosa fare nel futuro.

M: Perché in questi mesi non mi hai chiesto mai come stanno i ragazzi?

P: Senti, lasciamo stare il passato, pensiamo al futuro, abbiamo ricordi differenti. Allora per ferragosto?

M: Io rimango qui non mi posso permettere nulla.

P: Certo, tuo fratello a Porto Cervo e tu non ti puoi permettere, ma lasciamo stare anche questo.

M: Tu ti sei portato via tutti i risparmi.

P: Ahahahaha…. Va bene….Lasciamo stare questo argomento dai…

M: Si lasciamo perdere. Caso strano il 19 hai preso tre stipendi.

P: Tre stipendi? Ma che dici. Guarda, lasciamo stare.

Detto questo? Che intenzioni hai?

M: Io sono venuta qua per darti dei consigli.

P: bene dobbiamo parlare di come fare per farmi riavere un rapporto coi ragazzi.

M: Il giudice ha stabilito che i ragazzi devono fare quello che concordano i genitori. Da niente a stare con te, non è possibile. Quindi se vuoi arrivare alla rottura è bene che lo dici subito.

P: Io non voglio la rottura, io voglio vedere i miei figli.

M: Tu vuoi arrivare a distruggere i tuoi figli, mandarli dagli assistenti sociali. A quel punto preferisco che li senta il giudice. Hanno l’età per farlo. I ragazzi devono essere liberi di non andare da nessuna parte.

P: Ma non è così, i ragazzi devono vedere il padre. Se non riusciamo noi, ci vuole un aiuto esterno.

M: Allora il giudice, o un privato, un consulente esterno, ai servizi sociali non li mando.

P: Bene, un aiuto, il giudice, zio Pietro, zio Filippo, zio Giovanni….non so chi sarà.

M: Contattiamo una persona privata esterna.

P: E dobbiamo pagare un esterno. Ma cosa cambia?

M: Tu sei già andato, dovresti sapere com’è.

P: Senti, detto questo, praticamente come intendi procedere? Come intendi collaborare? Io vengo a prenderli, poi?

M: Bisogna fare le cose con calma.

P: Bene, cosa intendi per fare le cose con calma?

M: Io glielo dico ogni giorno, ma non vi manca vostro padre? Da quando te ne sei andato fino a mo. E BBBBB sai che dice? Che non gli manchi proprio.

P: Bene e sei contenta.

M: non sono contenta.

P: Lo dici con contentezza.

M: Contentezza? Te lo sto dicendo con tranquillità. Con serenità.

P: Questa non è una cosa che desta preoccupazione?

M: Certo che desta preoccupazione.

P: E non ci vuole un aiuto per andare a fondo su questa cosa? Ti sembra una cosa normale?
M: Tu sei andato da specialisti?

P: Si.

M: Che ti hanno consigliato?

P: Mi hanno consigliato di far sentire in ogni modo la mia presenza.

M: Si come?

P: Mandando messaggi, telefonando, andando al campo, provare con ogni modo a contattarli.

M: Si ? e poi?

P: Ho evitato di andare a scuola, una volta che ci sono andato, tu hai avvisato AAAAA .

M: ma che dici.

P: Ah no? Dopo che mi hai visto mi è arrivato il suo messaggio di insulti, un caso? Un caso anche che mi hai aspettato fuori dal colloquio di matematica per dirmi faccia di merda?

M: ma che dici?

P: ahahahaha…. Bugia vero? Certo…

M: Non ti ho neanche guardato.

P: sei un’attrice… va bene…Lasciamo stare dai, pensiamo al futuro.

M: Si non parliamo di me e di te… lì usciranno le cose al momento opportuno.

P: va bene, usciranno.Pensiamo ai ragazzi. Non ho capito cosa proponi.

M: Non avendo tu mai avuto il ruolo di padre, rientrando alle sette alla sera, non sai che non è che stanno con me i ragazzi a quattordici anni.

P: male, è una età delicata invece, dovresti vigilare.

M: Li offendi se dici così, sono ragazzi eccezionali.

P: Non li offendo, sono ragazzi eccezionali ma l’età è delicata, bisogna sapere che fanno e con chi stanno.

M: Ah si? E perché non mi hai chiesto mai dove stanno di sabato?

P: L’ho fatto. Abbiamo ricordi diversi ti dico.

M: io lascio tutto, li seguo. Qualsiasi cosa sto facendo lascio e li seguo. Tu che hai fatto?

P: io l’ho fatto…Tutte le volte che sono venuto a casa e sei uscita con lui facendomelo sfilare davanti,Tutte le volte che al campo di calcio è sfilato davanti a me e lo ha portato via tuo fratello,Tutte le volte che al campo di calcio è sfilato davanti a me e lo ha portato via tuo padre e tua madre senza salutarmi.

M: E’ logico, se non voglio stare con te con qualcuno devono stare.

P: Devono stare col padre.

M: Se vogliono, se non vogliono?

P: Devono stare col padre.

M: Se non vogliono io devo trovare una soluzione

P: Devono stare col padre.

M: Certo, quando vogliono.

P: Non quando vogliono, devono stare col padre.

M: Ma se non vogliono? Che fai li prendi e li violenti?

P:No, gli adulti devono fare in modo che stiano col padre. Senti, se mi fai delle proposte concrete, altrimenti diciamo agli avvocati che non troviamo un accordo. Io sto per esaurire la pazienza. Io la settimana prossima li vengo a prendere.

M: e fino alla settimana prossima?

P: Oggi siamo a mercoledì, hai detto che a ferragosto vogliono stare con gli amici. Con me non vorranno stare certamente. Vorranno stare con gli amici.

M: Non so , chiediglielo.

P: Ma come chiediglielo, non mi rispondono!

M: Secondo me sarebbe il caso di incontrarsi, perché una volta che vieni a prenderli che fanno ?vengono?

P: Va bene, incontriamoci.

M: Perché voglio fare una domanda, tu vieni a prenderli, loro vengono?
P: Dovrebbero venire, sono loro padre. Se tu insisti, loro vengono.

M:Io insisto, perché non vi fate una vacanza con papi? Gli ho detto?
P: No… si dice… dovete fare una vacanza con papà, punto.

M: Gliel’ho detto.

P: Quando vuoi fanno le cose che dici. Significa che su certe cose insisti su altre meno.

M: No, le cose con te non le vogliono fare.

P: va bene, allora bisogna trovare il modo …

M: Non ti vogliono neanche vedere!

P: Bisogna trovare il modo allora….

M: Sai che mi ha detto BBBBB?

P: Che ti ha detto?

M : io ogni giorno gli dicevo, ma papi non vi manca… mi hanno detto che li angosciavo per quanto ho insistito, tanto che ho dovuto smettere. Sai che mi ha detto BBBBB?
P: Che ti ha detto?
M: Che non è cambiato nulla per lui, tanto con te non aveva un rapporto. Per me non è cambiato nulla, con papi non avevo un rapporto.

P: Ottimo, e ti sembra una cosa normale?

M: A te sembra bello?

P: No, bisogna trovare il modo per cambiare tuto ciò. Non è una cosa normale.

M:Sai AAAAA che mi ha detto?

P: Che ti ha detto?

M: Che sta meglio.

P: benissimo. Ci siamo separati, è giusto che stia meglio. Era un inferno.

M: Ma che inferno, mi ha detto io sto meglio così, senza papi.

P: bene, concretamente che vuoi fare, incontrarsi?
M: Non è che vieni a casa e li obblighi, anche perché ho parlato con tanti specialisti nessuno vede le cose come dici tu.

P: Benissimo, ascolto tutti io.

M: Certo quando mi dicevi, informati. Mi sono informata.

P: Concretamente cosa vuoi fare non ho capito. Laciamo stare il passato, concretamente cosa vuoi fare?

M:Parliamo con loro in quanto almeno dimostri un minimo di rispetto nei miei confronti che non hai avuto.

P: questa è una tua opinione.

M: Perché non è vero? La gettata di merda che mi hai fatto addosso? Gettare merda sulla madre dei tuoi figli.

P: Bene qualcuno deve aver riferito ai ragazzi queste cose, o sempre l’uccellino? Ma lasciamolo perdere il passato.

M:No no.

P : Lasciamolo perdere il passato, pensiamo al futuro

M: Dobbiamo parlare, invece di dare schiaffi a tuo figlio chiama me e chiedi a me dove stanno i ragazzi.

P: Ma che schiaffo…. Ma lascia stare…

M: Tu gli hai tirato uno schiaffo.

P: ma lascia stare… pensiamo al futuro… cosa vuoi fare.

M: Gli hai tirato uno schiaffo e mi ha chiamato, mi sono pure spaventata.

P: ma lascia stare, pensiamo al futuro. Poi dici che non ho pazienza. Ti sto dicendo, cosa vuoi fare per il futuro?

M: Intanto devi essere più costante.

P: Cosa intendi per più costante?

M: Costante.

P: Costante cosa vuol dire? è una parola vuota se non la riempi di contenuti.

M: non stare a fare il filosofo. Te lo dico in dialetto se vuoi. Hai sentito degli specialisti, che ti hanno detto?

P: Devo cercare di mantenere viva la mia presenza per quello che posso. Questo mi hanno detto. E questo cerco di fare.

M: Voglio sapere in questi mesi come hai fatto a tenere viva la tua presenza.

P: Lascia perdere il passato, ho fatto. Tu ritieni di no, io di si.

M: No, voglio sapere come.

P: Lascia perdere il passato, guardiamo avanti.

M: Tu cosa ritienti?

P: Io devo vederli, sentirli e stare con loro. Ma a telefono non mi rispondono, se mi avvicino mi evitano, sms nulla. Li devo vedere. Come posso fare a vedere i miei figli? Questa è la domanda.

M: Vai al campo di calcio e aspetti.

P: l’ho fatto per mesi.

M: Ti avvicini.

P: L’ho fatto per mesi, sono entrato negli spogliatoi e facevano finta di non vedermi.

M: Davanti agli altri non lo farebbero.

P: AAAAA lo ha fatto, come no, per mesi ti dico. Mi sono avvicinato per abbracciarlo, si è divincolato e se ne è andato, davanti ai suoi amici.

M: Non lo hai fatto.

P : Ti prego, lascia stare il passato, parliamo del futuro. Io ho tanta pazienza, ma si sta esaurendo. Allora, cosa vuoi fare? Io devo poter vedere i miei ragazzi. Come intendi intervenire?

M: io non so.

P: Allora io ci provo, se poi non ci riesco ci facciamo aiutare.

M: devi avere pazienza.

P: io ci provo da un anno.

M: In maniera sbagliata secondo me. Se ti avvicini e stai immobile non otterrai nulla.

P: Ma che immobile, sono entrato pure negli spogliatoi da AAAAA, non mi salutava più.

M: Dovevi insistere.

P: ma come? Ho insistito fino alla fine, ogni santa volta.

E’ continuata per altri 10 minuti circa….

 

Ho mandato un messaggio ai ragazzi per chiedere di passare il ferragosto con me.

Lei si è impegnata a darmi una risposta, se loro non replicano.

Le ho detto che tutta la settimana successiva avrei provato ogni giorno.

Poi avrei chiesto aiuto a terzi, dopo averle ribadito:

Se vuoi, puoi.

 

 

 

 

Vai

Oggi ho accompagnato mio padre in banca. Non vede quasi più ma armeggia sul conto corrente on line. Fa una faticaccia boia a leggere sul computer, a volte penso che vada a ricordo.

Ha una forza di volontà incredibile. Ci mette una ventina di minuti a collegarsi, digitare una password, ma ce la fa. Oddio non sempre, ma sempre ci prova.

Gli ho preso un bello schermo grande un paio di anni fa, ed una lente di ingrandimento. Fatica lo stesso, non molla. Mi riempie di tenerezza e orgoglio allo stesso tempo a guardarlo.

Ha imparato a settanta anni ad usare il pc. Ogni tanto mi chiama perché ha combinato qualche casino e non riesce più a tornare indietro. Si incazza se sistemo troppo velocemente perché vuol vedere come faccio, come se alla volta successiva lo potesse ricordare e far da solo.

Lo assecondo il più delle volte per non mortificarlo, altre invece lo stuzzico di proposito perchè ogni tanto mi piace vederlo incazzato.

Stavolta ha digitato cinque volte errato il codice di accesso al remote banking, deve passare dalla banca per ritirare le nuove credenziali di accesso.

A sera, se faccio tardi e non lo ho avvisato, mi telefona. Ogni volta mi chiede se può chiudere la porta a chiave.

A suo modo continua a fare il padre, penso che lo gratifichi la cosa. Glielo faccio fare. Il compendio di tutta la sua discrezione e la sua eleganza è quando qualche volta capita che lo chiami per dirgli che dormo fuori.

Ogni volta mi dice:

  • ah, bene, fai buone cose!

La prima volta che me lo ha detto qualche mese fa, sono rimasto un bel po’ a decifrare tutti i contenuti ed i colori di quelle poche parole.

Sono allo stesso tempo una carezza e una spinta. Un ‘vai’ , va a divertirti, fallo con attenzione e pensa a ciò che fai e quello che sei. E’ troppo bello.

Mia madre avrebbe fatto centomila domande sul dove, con chi e perché.

Mi sento un po’ strano stare dietro a mio padre come fosse un bambino. E’ il momento in cui ti rendi conto che il segno che tracci in questa vita è un tondo. Inizi e termini come hai iniziato. In questi mesi di aspettativa da padre dei miei figli, mi cimento un po’ a fare il padre di mio padre.

E’ stato un gran maestro per me. Poche parole, ma al momento giusto. Come una segnaletica perfetta ad ogni bivio di un percorso. Mai un cartello in più.

Una madre da sola può tutto. C’è un momento in cui occorre una figura che ti faccia diventare piccolo uomo. Tua madre non basta.

Per i ragazzi è un passaggio fondamentale. E’ un secondo taglio del cordone ombelicale. Il primo è dopo il parto, il secondo avviene al raggiungimento della pubertà.

Per diventare piccolo uomo hai bisogno di una figura maschile a cui ispirarti. Le donne intelligenti lo sanno perchè comprendono i loro limiti.

Una madre ti protegge, un padre ti insegna a lanciarti nel vuoto.

Una madre nel vuoto ci va se è necessario, un padre ci va anche per gioco e perchè un giorno potrebbe essere necessario saperci andare.

Se ‘vai’ te lo dice tuo padre, ci vai davvero. Se vai te lo dice tua madre, al minimo inneschi una polemica. Alle donne piace da matti discutere, nostra madre è l’unica donna con cui noi figli maschi accettiamo di discutere.

A Monteamaro, dove è la mia casa in campagna, si viveva un po’ isolati. Oggi un po’ meno, trenta anni fa c’erano pochissime anime.

Era un periodo difficile dalle nostre parti. C’era una escalation di furti e furtarelli, non si stava tanto tranquilli. Ci avevano portato via degli attrezzi qualche mese prima. Una notte fui svegliato da rumori. C’era sicuramente qualcuno che armeggiava vicino alla baracca degli attrezzi, ad una cinquantina di metri dall’abitazione.

Il cane abbaiava. Poteva essere anche un animale, ma nella notte non era facile distinguere.

Mio padre si alzò anche lui. Capì che voleva uscire per andare a controllare. Sentì mia madre che diceva di non andarci:

  • Chiamiamo la polizia, non andarci.

Mio padre non rispondeva, continuava a vestirsi.

Avrò avuto quindici anni. Ero l’unico figlio rimasto in casa. I miei fratelli, più grandi vivevano già fuori.

Vedevo mio padre prepararsi e sentì la spinta a vestirmi anche io.

Fino a qualche mese prima, non mi sarei mosso senza un suo cenno. Quella volta mi attivai senza consenso. Qualcosa di nuovo stava succedendo e cominciava dentro di me.

Misi qualcosa velocemente addosso anche io e mi avvicinai a lui.

Vedere mio padre agitato, mi aveva messo addosso una paura fottuta, ma ero lì vicino a lui come a dirgli, ci sono anche io.

Mio padre mi guardò da testa a piedi. Sembrava mi stesse prendendo le misure. Per un attimo ebbi paura che mi dicesse di rimanere in casa. Ero alto come lui e mi sentivo pronto, il mio orgoglio ne sarebbe uscito distrutto se non mi avesse fatto andare.

A volte ho la sensazione che alcuni uomini parlano poco perché colgono tutto al volo. Le parole sono superflue.

Non disse nulla, mi diede la torcia in mano, pesante. Non vado a fare il porta barella. Lui prese un grosso bastone in mano.

Senza dire una parola si girò verso la porta e uscimmo insieme.

Mia madre aveva il volto preoccupato, ma non disse nulla. All’epoca i genitori avevano firma disgiunta. Bastava che solo uno desse il consenso, valeva automaticamente anche per l’altro e senza inutili teatrini e discussioni.

Gli stavo dietro a papà, vicino. Il cane accanto a me.

Sentivo la torcia in mano e la tenevo come un bastone. Mi faceva sentire meno il ruolo di reporter in battaglia.

Mio padre camminava davanti guardingo ma sembrava non avesse alcuna paura. Dovevo arrancare per stargli dietro.

Se fossi stato da solo sarei morto di paura e mi sarei mosso come in una moviola. Dietro di lui mi sentivo un leone.

Mi resi conto che il buio man mano che lo penetri ha una sua luce. Ciò che sembra nero da lontano man mano che ti avvicini ha una sua visibilità. Nè più né meno di quanto accade con le disavventure della vita. Non dico che ci vedi bene, ma riesci a muoverti. Vedevo mio padre molto attento, ma calmo tutto sommato. Aprì la baracca degli attrezzi come se stesse aprendo una madia per cercarci qualcosa.

Nessuna incertezza. Controllò che ci fossero tutti gli attrezzi. Facemmo una ispezione lungo tutto il perimetro della recinzione. Verificammo che non ci fossero segni di effrazione. Nulla.

  • Sarà stato qualche animale

Disse, terminato il giro.

Io speravo di non trovarci nessuno nel buio, lui girava e sembrava avesse proprio la voglia di trovare qualcuno, come se dovesse dare un senso alla levataccia.

Da allora non mi sono mai più tirato indietro.

Da quella sera adoro il buio, spesso a Monteamaro faccio una passeggiata proprio nei pressi della baracca degli attrezzi e respiro.

Quella sera probabilmente è scattata qualche molla. Da bambino sono diventato piccolo uomo. E’ stata l’ultima volta che sono stato in scia, ed è stato alle spalle di un grande corridore.

Oggi mi piacerebbe tanto tirare la volata ai miei figli e potergli dire

‘Vai’.

Sarebbe un modo per dire grazie e rendere ciò che ho avuto.

 Mia moglie mi ha chiamato dopo mesi.

Il suo avvocato deve averla convocata dopo la lettera del mio.

Le staranno facendo pressioni per cercare di trovare un accordo con me, senza passare dal centro per la famiglia.

Conosco mia suocera e mia cognata. La frequentazione del centro la vivrebbero come un’onta. Come andare a mangiare alla caritas del comportamento sociale. Loro così perfettine in un centro per disagiati, giammai.

Mi ha chiesto di incontrarci per parlare dei ragazzi.

Mi ha detto di essere molto impegnata e le avrebbe fatto comodo al venerdì. La cosa mi ha colto di sorpresa, le ho detto di si immediatamente. Dopo aver chiuso ho pensato di non voler stare più in un angolo. Il suo rimandare l’ho capito bene. La stanno trascinando in questo. Ha fatto la telefonata, ma inconsciamente ha rimandato la cosa più lontano possibile.

Io voglio attaccare.

Le ho scritto:

– vista l’importanza del problema, non capisco perché aspettare venerdì. Vediamoci domani.

Nel frattempo ho sentito il mio avvocato.

Ho chiesto se vedesse qualcosa di negativo in questo. Mi ha solo raccomandato di scegliere un luogo pubblico e di stare tranquillo.

  • Dobbiamo provarle tutte.

Mi ha detto.

Domattina incontro Lorenza anche. Voglio sentire anche lei.

All’incontro vorrei dire a mia moglie:

  • Una madre può tutto.

Il resto lo terrò per me.

Inizia la partita

Ho chiesto a Mario, il mio avvocato, alla luce del dispositivo del Giudice, di partire all’attacco senza indugio. Ha scritto all’avvocato di mia moglie.

Caro Silvio,

            nel prendere buona nota, allo stato, dell’ordinanza presidenziale dello scorso 19 luglio e sollecitato dal mio assistito, ferme restando le richieste formulate nelle difese, in particolare quelle riguardanti le modalità dell’affido condiviso (collocazione settimanale anche presso il padre) e diritto di visita, comunico che l’ing. Paperino ribadisce la sua determinazione a ricostituire il rapporto che ha sempre avuto con i figli nel corso di tutti questi anni e chiede di conoscere se la Tua assistita intenda collaborare fattivamente in tal senso o se, invece, la situazione rimane quella dichiarata dopo l’incontro delle parti avvenuto presso i locali del nostro Ordine.

Il mio assistito è dell’avviso di esercitare il diritto di visita per tre volte alla settimana con una permanenza dei figli con lui per almeno quattro ore e, a settimane alterne, la loro permanenza nel fine settimana (sabato e domenica dalle ore 15.30 del primo giorno alle ore 19.30 del secondo).

Attendo una risposta sul punto, segnalando l’urgenza per non far trascorrere invano questo mese estivo e anticipando che, nell’eventualità la sig.ra Moglie fosse di avviso contrario ovvero dichiari l’indisponibilità dei figli in tal senso (ad oggi il padre non è messo nelle condizioni di poterne parlare direttamente con loro), si darà corso alla prescrizione presidenziale di interessare il Centro per la famiglia di Paperopoli, il quale fornirà le indicazioni da seguire per le modalità del rapporto padre-figli.

L’ing. Paperino chiede anche che per il mese di agosto i figli possano stare con lui per almeno una settimana consecutiva.

La Tua assistita ha fornito l’iban di un conto corrente aperto presso il Banco di Topolinia, su cui effettuare il versamento dell’assegno disposto dal giudice; l’ing. Paperino ha già provveduto per il corrente mese di agosto. Ti chiedo di farmi avere conferma di tale modalità anche per il futuro.

E’ necessario, poi, procedere entro questo mese alla chiusura del conto corrente bancario intestato ai due coniugi. Attendo di avere conferma della disponibilità della sig.ra Moglie.

Segnalo, inoltre, che entro queste mese il mio assistito dovrà disdire tutte le utenze a lui intestate; qualora vi fosse interesse a subentrare nei contratti in essere, per evitare i costi per i nuovi, Ti chiedo di avvertirmi subito in modo da organizzare il cambio di intestazione.

            Ad oggi l’ing. Paperino deve riavere i seguenti beni personali: tutti gli orologi, bracciali e anelli; l’abbigliamento sportivo. A ciò va aggiunto un trapano Hilti, di valore e proprietà della società, come ben noto alla sig.ra Moglie.

Poiché sinora la Tua assistita è rimasta sorda ad ogni sollecitazione, più volte effettuata, attendo di avere una risposta ultimativa; in difetto, dovrò tutelare la legittima richiesta del cliente.

            Con i migliori saluti.

Sono rientrato proprio oggi da un viaggio di lavoro. Ed un periodo in cui litigo con tutti. Mi infastidisco per stronzate. Mi devo dare una calmata.

E’ il primo mese in cui mi devo attenere a delle regole ben precise in fatto di mantenimento.

Alle regole dovrebbe attenersi anche la controparte, teoricamente.

Il giudice ha sentenziato che entro il quindici di ogni mese devo versare l’assegno a mia moglie.

Lei già a fine mese si era preoccupata di mandarmi un whatsapp con le coodinate bancarie del conto nuovo che ha aperto allo scopo.

Se fosse così premurosa per favorire il mio rapporto coi ragazzi non avrei gli stessi problemi.

L’1 agosto mi arriva un altro Whatsapp.

‘Siamo senza soldi, non so come fare’.

E’ in vacanza con i ragazzi, al mare. Ci sono i miei suoceri con lei. Abitualmente spendono e spandono, non hanno problemi. Ha più entrate di me in questo periodo, forse. E’ senza soldi. Ma va bene.

Pazienza ci vuole Paperino. Pazienza.

Sto studiando come sedare la rabbia. Devo praticare.

Sono indeciso se aspettare il 15 agosto per fare il bonifico o farlo subito.

E’ un peccato che non sappia fare lo stronzo. Forse ci si nasce.

Dopo aver finito il libro di Lorenza sulla rabbia dovrei chiederle un qualcosa su come diventare un vero stronzo. Giusto per bilanciare.

Stamattina faccio il bonifico. Le mando anche foto della contabile e mi risponde con un grazie.

15 minuti dopo, mio figlio più grande, dopo una settimana di silenzio risponde ad un mio sms.

Aveva gli esami teorici per la patente da quattordicenne oggi. Mi scrive che ha passato gli esami. Non so essere stronzo e tantomeno freddo. Ogni volta che ho un minimo contatto, mi viene un tuffo al cuore. Poi devo far finta di nulla.

Non penso immediatamente alla strana coincidenza. Bonifico a mia moglie con invio della contabile. 15 minuti dopo, messaggio di mio figlio.

Ci penso dopo alla cosa, ma scaccio via il pensiero. Mi sembra di scartare i canditi da un pezzo di dolce buonissimo.

Tich, il vietnamita autore del libro sulla rabbia, mi avrebbe dato la cintura arancione forse.

Ho una grande fortuna. Mi faccio ridere.

Tra me e me penso:

– le ho fatto una cortesia, magari si distende un po’. Mi darà le mie cose rimaste in casa senza che faccia intervenire il giudice.

Quindi:

‘’ Saresti così gentile da darmi le mie cose rimaste in casa senza che faccia intervenire il giudice?’’

Nessuna risposta.

Lo diceva mia nonna prima di Tich. Fai bene e scordati.

Non le ho mandato il bonifico in anticipo per avere le mie cose, ma dopo, ho pensato che la mia cortesia potesse essere ricambiata.

Lorenza del centro di mediazione mi ha prestato il libro sulla rabbia, come sempre è stata gentilissima. Ne ho letto un bel po’ ed oggi, che sono stato da lei, ne abbiamo parlato. ‘Spegni il fuoco della rabbia’ scritto da un Monaco Vietnamita candidato al Nobel per la pace.

Insegna la consapevolezza. Ha dato vita proprio ad una Comunità/Scuola in Francia per insegnare la consapevolezza. I buddhisti insegnano a farsi saltare in aria dalla felicità. Una jihad di panna e fragole. Altra pasta.

Ho spiluccato sempre poco del buddhismo. E’ la prima volta che leggo un vero e proprio libro sull’argomento.

I monaci buddhisti mi hanno sempre destato grande simpatia. Ogni volta che ne vedo uno, vorrei tirargli un pizzicotto sulle guance e abbracciarmelo. Mi danno l’idea che siano di famiglia. Non li vedi da molto tempo, sono come parenti lontani a cui sei affezionato. Hanno sempre quell’aria serafica e sorridente. E’ una meraviglia.

Ero stato sempre piuttosto scettico sulla possibilità che il modo di ragionare orientale in generale e dei buddhisti in particolare potesse sovrapporsi al nostro stile di vita.

Il mio amico Thic (l’autore del libro) , di fronte ad una situazione che fa incazzare mi dice di fare una passeggiata e di respirare. La rabbia bisogna sbollirla e non c’è nulla di meglio che fare una bella passeggiata e dei bei respiri profondi. Al momento ‘fare altro’ è la parola d’ordine.

Un po’ come quando cali la pasta. Se stai sempre lì a controllarne la cottura non sarà mai pronta. Se ti distrai e fai altro, il tempo passa tanto in fretta che rischi anche di scuocerla.

Non va mai gestita a caldo la rabbia.

Strano modo di affrontare la vita quello degli orientali. Ammirevole per certi versi, ma tanto distante dai nostri modi.

E’ affascinante il loro approccio ai problemi della vita. La rabbia per esempio è considerato un problema che è solo dentro di noi. Non c’è altro modo di risolverlo, se non concentrandosi su se stessi. Se cerchiamo il litigio, scateniamo un escalation di incazzatura che difficilmente porterà pace. Produrrà rabbia su rabbia e sofferenza diffusa.

Ho riflettuto molto su questa cosa. Anche nella nostra cultura c’è la spinta alla introspezione, alla conoscenza del proprio io per arrivare alla consapevolezza di sé. Da noi l’introspezione costituisce un punto di partenza. E’ come prepararsi la valigia ed essere attenti a tutto ciò che c’è dentro. Ogni cosa ci può servire per il viaggio che ci attende.

Loro invece si allenano a partire senza nulla, un viaggio senza valigia. Non avranno bisogno di nulla se non di se stessi. La differenza non è da poco. A me piace avere le mie cose però. Poche, ma utili al momento giusto. Da solo non mi basto.

Un po’ onanistica come filosofia per il mio modo di essere. Le volte che provo a comportarmi seguendo qualche loro pratica, ne ottengo un po’ di frustrazione.

Con le dovute proporzioni e senza voler offendere nessuno mi pare una masturbazione invece di una sana scopata. Il piacere lo raggiungi, ma non ne sei mai appagato.

Mi piace strafogare, e loro consumano con sobrietà.

Di contro, ne apprezzo molte sfumature, assaggio qua e là con piacere ma non riesco proprio a riempirmi.

Ci sono degli aspetti molto pratici che aiutano in certe situazioni.

Camminare e respirare per esempio, è proprio un bel modo per sbollire, ci ho provato e funziona. Così come è un bel modo per concentrarsi sul presente.

I problemi, le ansie, le arrabbiature sono del passato e del futuro. Se riusciamo a vivere il presente ce ne affranchiamo, almeno nel momento.

Una cosa che mi ha sorpreso molto e che mi ha trovato perfettamente allineato è la convinzione che non esistano il bene ed il male. Ci sono delle negatività nella vita come l’odio, la disperazione, la rabbia. Non bisogna scoraggiarsi. Vanno riconosciute e trasformate in positivo, con pazienza. Dai rifiuti si fa il compost e con il compost si genera la vita.

Dobbiamo essere capaci di sfruttare anche le cose cattive, che non ci piacciono. Ci nutriranno invece che danneggiarci, se trasformate.

Lorenza mi abbandona.

Me lo ha comunicato oggi, presentandomi la collega che seguirà me e mia moglie. Lo avevo immaginato che avrebbe fatto un passo indietro. Avendo visto molto più me che mia moglie, la sua neutralità sarebbe stata in difficoltà forse.

Ho finto di accettare la cosa con fair play.

Mi è dispiaciuto molto. Lorenza mi ha aiutato tanto in questo periodo. Le ho detto che mi è servito molto il percorso che abbiamo fatto.

La partita non era ancora iniziata ma andare lì al centro, mi sembrava come entrare nello stadio e calpestare l’erba almeno. Sentivo i cori e respiravo il clima dello partita.

Lorenza mi ha fatto sentire in partita anche se la partita non c’era per nulla.

Mi ha tenuto su di giri e caldo in tutto questo periodo. Una grande allenatrice. Ha saputo ascoltare e motivare. Adesso tocca a me.

L’arbritro ha fischiato. Mario, il mio avvocato ha dato il segnale. Si attacca.