Katia all’ultima seduta di counseling mi da un compito. Prendi un quaderno, scrivi tutte le emozioni che riconosci, descrivendo la sensazione fisica che si accompagna. Se puoi, cerca di ricordare anche le smorfie del tuo viso e prova a riprodurle allo specchio.
Ma si può? Mi sento un po’ tirato per le orecchie a svolgere, ma sono stato sempre un tipo diligente e mi sono messo di buona lena ad eseguire il mio compitino. Invece del quaderno, ho cominciato ad usare il ‘’note’’ del mio Iphone. Più pratico.
Arrivato il momento di guardarmi allo specchio, ho avuto un po’ di difficoltà. La mia indole ha fatto attrito e resistenza. Ma a cosa serve tutto ciò? Qualche mese fa al pensiero di annotare le emozioni e di fare le facce conseguenti allo specchio, mi sarei sentito ridicolo. La vita cambia repentinamente però, più velocemente di quanto si possa immaginare.
E cosa avrei detto a 30 anni di me, se avessi pensato me a 45, in queste condizioni?
A quarantacinque anni, passerai molto tempo a cogliere le tue emozioni e a fare facce allo specchio!
Coglione! avrebbe detto me di me futuro!
A sentire la mia conselour invece è proprio questo il mio male. Sentirmi ridicolo solo perchè metto a nudo le mie emozioni. Mi rimprovera per questo.
Mi avvio allo svolgimento del tema come un bue portato in palestra, anzi, se potessi, raglierei.
Quando hai poco, non puoi fare molta selezione, non ci riesci. Prendi tutto quello che viene, pensi solo a riempirti. Smetti di fare lo schizzinoso. Quando hai fame, una pasta scaldata ti pare un pasto divino.
Ho provato in questi giorni a riprodurre davanti allo specchio i vari stati d’animo, ma non mi riesce di scostarmi di molto dalle emoticons di whatsapp. Quella tipo urlo di Munch mi riesce benissimo, è quella che mi da più soddisfazione!
Ma soprattutto, una volta che riconosco le emozioni, come faccio a trasmetterle ai miei ragazzi che nemmeno mi parlano? Questa domanda mi sono dimenticato di farla a Katia. Dovrei scrivere delle domande e portarmele dietro, penso. La memoria non mi basta più. La necessità dei pizzini va di pari passo con gli occhiali da vicino. Comincio a pensare che sono gli occhialetti a far dimenticare le cose!
Perche fino a qualche mese fa avevo un rapporto splendido con i ragazzi, senza fare tutti questi studi davanti allo specchio? Cosa è cambiato ora?
Mi sento come quando da studente mi chiedevo perché dovessi studiare Lucia e Renzo. A cosa mi servono nella vita? Ora mi ritrovo a essere simile ai capponi di Renzo, mi becco da solo però.
Oggi sono andato alla partita del più grande. E’ stata una partita importante, si è giocato l’intero campionato tra le prime due della classifica. Stavolta non ho provato nemmeno a chiedergli di accompagnarlo. La cosa mi ha preoccupato, questa inerzia potrebbe significare cedimento e non voglio. Arrivo un po’ nervoso al campo.
Ho preso il caffè di rito con gli altri genitori e sono salito sulla tribuna. Mentre guardo in giro per scorgere qualche volto amico da salutare, abbasso lo sguardo, proprio davanti a me, seduto accanto ai suoi amici, mio figlio piccolo. E’ a mezzo metro e non lo ho visto!
La faccia smarrita. evidentemente lui mi ha visto ed è fortemente in imbarazzo. Sto lì da almeno due minuti a distanza di carezza e non mi accorgo di lui. Lo guardo, un tuffo al cuore. Lo saluto, mi risponde a fatica, mi metto accanto a lui, lo abbraccio e lo bacio sulla testa. Si divincola e gira la testa dall’altra parte. Mi rendo conto che ci sono i suoi amici e le sue amiche, ha tredici anni e per un adolescente non deve essere il massimo farsi vedere abbracciare e baciare dal proprio papà in condizioni normali, figuriamoci nelle nostre.
Faccio in tempo a chiedergli come stia, mi risponde che sta bene, bofonchiando, poi accentua il suo divincolarsi e mi offre quasi la schiena.
Evito di creargli imbarazzo e mi metto a sedere due file più su accanto ad altri genitori. Mi sento come ad avere una fetta di torta davanti, ma ne posso mangiare solo un pezzetto per via della dieta. La lascio e provo una mancanza fisica.
Stasera mi sono messo davanti allo specchio ed ho provato ad eseguire il mio compitino.
Che emozione è il tuffo al cuore? E’ quello che ti capita quando non ti aspetti di vedere qualcuno e quel qualcuno è la persona più importante della tua vita? Come te la rappresento Katia?
Rimango fisso immobile davanti allo specchio. Mi cade una lacrima, poi un’altra. Piango, ma non è un pianto amaro, è un pianto neutro. Non è nè gioia nè dolore. O meglio è gioia e rabbia allo stesso tempo che si compensano. Capita anche che piova col sole, mi sembra così. Il mio cuore è felice, nel naso ho ancora l’odore di mio figlio, tra le braccia sento la sua morbidezza, ma piango. Sono arrabbiato perché era lì e mi trattenevo per non creargli imbarazzo e perché probabilmente, se mi fossi avvicinato di nuovo si sarebbe allontanato.
Spero di essere riuscito a rappresentartela questa emozione, Katia. Magari sono riuscito a trasmettere qualcosa anche al mio piccolo, che sarebbe meglio. Parlo da solo con lo specchio.
Davanti a me c’è Vincenzo il migliore amico di mio figlio.
Comincia la partita, io divido i miei occhi tra mio figlio piccolo seduto due file più avanti e mio figlio più grande che in campo si gioca il campionato.
Succede un qualcosa di strano. Vincenzo per tutta la partita non fa che chiedermi pareri sulle squadre, sui giocatori, su ogni.
Sono troppo preso e concentrato sui miei ragazzi, su ogni mossa che fanno, uno in campo e l’altro sugli spalti per accorgermi che Vincenzo mi parla da mezz’ora. Rispondo automaticamente come i risponditori automatici, quelli che ti dicono:’’ prema uno se vuoi questo, prema due se vuoi quello ‘’ …tu invece vorresti tanto un operatore di quelli: ‘’buonasera sono Giovanni, come posso esserle utile!’’.
Arriva l’intervallo, mi giro sulla sinistra e sotto alla tribuna, ai bordi del campo, vedo tutto il clan di mia moglie. C’è lei, il padre, la madre, mia cognata, il marito di lei con la piccola, una amica con il marito anche. Sono allegri e felici, ridono e scherzano.
Mi danno nausea, per fortuna sono lontani. La cosa mi urta anche, provo un po’ di gelosia. Un tempo il pallone era a mio esclusivo appannaggio. Guarda quanti sono oggi! E non sanno nemmeno se il pallone è tondo o quadrato. Che nervi.
Mi guardo allo specchio, non piango più. Si accentuano le rughe sul volto, aumenta la salivazione, deglutisco. Mi prende allo stomaco, si accartoccia come la carta del pane e la mia faccia sembra un pomodoro maturo e sfatto. I denti si serrano.
Mio figlio e Vincenzo si sono alzati e sono in giro con gli altri ragazzi, li perdo di vista.
Scambio qualche parola sulla partita con gli altri genitori. La squadra perde, mio figlio in campo però lotta e gioca bene, tutto papà… J
Ricomincia la partita, secondo tempo.
I ragazzi tornano al loro posto, cerco di sentire i discorsi del piccolo con le amiche ma con il rumore di fondo del pubblico non riesco a carpire le parole. Non mi ha mai dato tanto fastidio un rumore di fondo.
Vincenzo prende delle patatine dalla busta del suo vicino, si gira e me le offre direttamente dalle sue mani, con quella naturalezza che solo i ragazzi hanno: Vuoi una patatina? Quasi fossi il suo compagno di banco.
Lo guardo. Ho un attimo di esitazione, sto per dire no. Guardo la patatina e gli dico:” grazie Vincenzo”. Il ragazzo mi stava coccolando da mezz’ora e non me ne ero accorto. Riavvolgo il nastro del primo tempo in mente. Si era accorto della reazione di mio figlio che mi aveva allontanato, Vincenzo è un ragazzo intelligente e da più di mezz’ora che cercava di coinvolgermi per consolarmi forse.
Mi guardo allo specchio. I miei occhi scondinzolano, abbozzo un sorriso a bocca chiusa, la testa si inclina leggermente su una spalla come a cercare un appoggio. Che bravo Vincenzo, penso. Mi ha voluto bene, mi accarezzava virtualmente e neanche me ne ero accorto.
Se il migliore amico di mio figlio mi tratta bene, può essere che loro non parlino poi così male di me, penso. Mi si riaccende una speranza. Sono più di cinque minuti che sono davanti allo specchio. Il tempo passa.
Avevo un’auto americana. Mi ricordo che sullo specchietto retrovisore c’era un adesivo: The objects in the mirror are closer than they appear. (Gli oggetti allo specchio sono più vicini di quello che sembrano)
Leggevo spesso quella frase. Gli americani sono maniaci per la sicurezza e da buon italiano commentavo:”sti americani potevano risparmiarsela questa banalità”. Leggevo e ci riflettevo molto quando ero in auto, stando sullo specchietto mi balzava continuamente agli occhi. Avrei potuto staccare l’adesivo ma non l’ho mai fatto, mi solleticava la fantasia e cercavo un significato nascosto, più filosofico di quello pratico.
Adesso mi pare chiaro cosa cercavo. Stare allo specchio mi sta avvicinando a me stesso. L’esercizio di Katia, serve proprio a questo forse. Mi devo riappropriare di me stesso per offrire il meglio di ciò che sono.
In casa me lo hanno sempre detto, per far stare bene chi ti sta intorno, devi stare bene prima tu. Se vado in giro con questi occhi tristi, smarrito, come vuoi che chi mi sta intorno stia bene o mi riconosca?
Una persona che ha avuto una esperienza simile alla mia mi ha detto:
Quando torneranno e passerà la sofferenza quello che ricorderai è tutto il tempo che hai buttato a soffrire.
La partita finisce. E’ stata emozionante, i ragazzi hanno perso ma hanno giocato bene. Mio figlio più piccolo scende di corsa dalle tribune. Mi precipito a toccargli la testa e gli dico: Ciao! Non si gira a guardarmi, ma ricambia il ciao. E’ qualcosa!
Saluto Vincenzo.
E’ tardi, mi metto a nanna. Oggi non è andata così male, mi sono portato avanti con i compiti e l’oggetto nello specchio si è avvicinato di molto.