Primo round

La camicia bianca è pronta. Ne ho diverse. Una è di sartoria, metterò quella. Il capo di qualità lo senti addosso, scivola come un bagnoschiuma.

Sveglia alle sei, doccia, barba. Alle sette sono in cantiere, alle otto in ufficio.

Facce da funerale. Oramai è mesi che si arranca. Le banche non danno più un euro, i committenti se non falliscono, comunque  non pagano. Le tasse bisogna comunque pagarle. Hanno scambiato le aziende per moltiplicatori di pani e di pesci. Giornata quasi normale praticamente.

Sento il mio amico fraterno che mi ha supportato tutti questi mesi. È’ avvocato anche lui, mi accompagnerà in tribunale oggi.

Ieri Mario, il mio avvocato ufficiale, mi ha mandato la comparsa. L’ho letta ieri sera. Mi è sembrata cazzuta. Gliene ha scritte di tutti i colori al collega, legale di mia moglie.

Mario si è incazzato da morire. L’avvocato di mia moglie, nelle memorie presentate, ha scritto che la negoziazione è fallita a causa mia.  Un avvocato non dovrebbe mai portare in giudizio argomenti della negoziazione. E’ una prassi deontologica. Portare argomentazioni di una negoziazione, per di più false, è un fare che definire scorretto è un eufemismo.

Dalla comparsa di Mario:

Dispiace allora leggere nel ricorso (pag. 4, righi 21 e 22) che la via giudiziale della separazione sarebbe stata la conseguenza di non poter proseguire l’avviata procedura di negoziazione assistita “per l’accertata reale ragione del naufragio dell’unione coniugale”, vale a dire la relazione extraconiugale (passaggio svolto nel periodo precedente del ricorso), quando invece la ricorrente e soprattutto il suo primo difensore conoscono bene l’andamento del dialogo e la chiusura della Signora ad ogni possibile proposta collaborativa proveniente non solo dal mio assistito ma anche dal suo stesso difensore.

Discutibile la scelta di addebitare il naufragio della negoziazione assistita a Paperino, per di più attribuendolo al fatto della relazione, che non ha mai avuto ingresso nella discussione, e ancor più discutibile la scelta di voler inserire fatti – per di più non veritieri e mai accaduti – che sono e devono rimanere all’interno della riservatezza propria di una concorde decisione di tentare la negoziazione.

La questione non ha invero una diretta rilevanza nel giudizio; denota, però, il preoccupante atteggiamento della ricorrente volto a forgiare fatti ed episodi “ad usum delphini”, per utilizzare un’espressione cara alla ricorrente.

(Usum delphini è una espressione utilizzata molto dall’avvocato di mia moglie nel ricorso. Mario lo prende per culo, citandolo)

E ancora una volta è stato Paperino a chiedere alla moglie, con lettera del 26.4.2016, di recarsi insieme dal servizio di mediazione familiare del Comune, avendone parlato con la dott.ssa Lorenza……

Dopo avere accettato e dopo essersi recata per due incontri, ancora una volta la ricorrente ha mostrato la sua vera natura, abbandonando il percorso congiunto che avrebbe potuto giovare a loro in funzione soprattutto del migliore benessere per i figli.

Stridono allora tutte le ingiuste, ingiustificate e non vere accuse profferte nei confronti del marito, quando invece la stessa Signora ha inizialmente accettato il percorso condiviso, ben consapevole di essere la causa principale del fallimento del rapporto familiare.

Strumentalmente oggi, in sede contenziosa, cerca di mettere in cattiva luce il resistente (così limitandosi all’uso di un’espressione che meriterebbe ben altra colorazione) per raggiungere immotivati fini locupletivi.

Effettivamente mia moglie può prendere per culo me, ma se si mette il suo avvocato a prendere per culo il mio è una presa per culo al quadrato! Troppo.

Vado a prendere mio figlio da casa per portarlo a scuola guida. Ieri gli ho preso due bermuda con i saldi. Oramai è ad una taglia da me. Sento il fiato sul collo. Rimane un modo di dire purtroppo, magari lo sentissi davvero il suo fiato, il collo mi si squaglierebbe di felicità.

Non gli dico nulla del fatto che non mi abbia risposto ai messaggi. Ho deciso di parlare solo in positivo con lui, per ora.

Sembra che i bermuda gli siano piaciuti. Per il resto è un cavargli di bocca qualche monosillabo. Lascio mio figlio e vado a prendere un  caffè con il mio amico Francesco. Mi ripete di stare tranquillo. Saliamo in tribunale, Mario  ci aspetta in una stanza alla segreteria dell’ordine degli avvocati.

Ci vediamo. Mario mi scruta e mi sistema il look.  Mi fa abbottonare un bottone alla camicia, ne avevo due aperti.

Gli dico:

  • certo, sennò sembro un puttaniere.

Francesco ride, Mario rimane serio ma ha un ghigno stampato in faccia. Sembra teso. Chiedo a Francesco che lo conosce bene.

  • Tranquillo, Mario è così . Hai presente una caffettiera quando esce il caffè?

Lui prima dell’udienza si carica a molla.

Me lo hanno detto tutti che in udienza è bravo. Oggi mi fa un po’ di impressione . Lo vedo sempre  attivo e sveglio, stamattina mi pare assatanato. Mi rilassa la cosa, c’è chi è più teso di me.

Ci mettiamo in un corridoio ad aspettare. Arriva mia moglie con uno stuolo di persone. Il suo avvocato, due amiche, il figlio del suo avvocato, avvocato anche lui e una praticante. Dico:

  • Ammazza, come numero ci stracciano.

Ridiamo.

Saluto mia moglie, non ricambia, bontà sua. Saluta con volto tirato sia Mario che Francesco.

Mario prende a parlare con i colleghi. Ogni tanto si gira e mi guarda. Mi sistema il collo della camicia e mi dice di mettere la giacca che porto in mano.

Ha un fare paterno, mi piace questa coccola, mi dà sicurezza.

Francesco pare il suo allenatore, avvicinandosi  mi dice che parla a Mario per far evaporare la adrenalina, si rischia che in udienza azzanni tutti.

C’è da attendere . Mia moglie si è presentata col viso molto tirato.

Speriamo esploda.

Le aule di tribunale sono un chiacchiericcio continuo. Non capisco nemmeno come un giudice possa concentrarsi. La giustizia è in confusione perché lo sono le sue aule. C’è un brusìo di sottofondo che ti fa fare fatica a comprendere cosa ti dica uno accanto.

Dicono che nascano molte relazioni clandestine tra avvocati. Secondo me è perché per parlarsi devono avvicinarsi tanto da pomiciare quasi.

Arriva Mario sempre più impaziente:

  • qua facciamo notte, dice.

Meno male che ho il mio blog. Scrivo sul ‘note’ del telefono. Mi concentro su altro e non conto il tempo, passa.

Sono nel corridoio. Sento un po’ di discorsi. Gli avvocati si distinguono perché hanno dei fascicoli in mano o una borsa. Gli altri sono per metà abbandonati sulle sedie. Non fa caldissimo ma ci saranno una trentina di gradi. La pressione bassa nei soggetti che soffrono si sta facendo sentire.

Gli avvocati commentano molto il look dei colleghi, ho notato.

Se ad un ingegnere chiedessi che abito porti il suo interlocutore, 99 su 100:

  • Che hai detto scusa?

Breve riflessione a fronte corrucciata

  • Non saprei
  • Non è tra i parametri che ho considerato.

Continua l’attesa.

Il corteo di mia moglie, vista l’attesa si muove in altra sede.

Forse hanno letto la comparsa di Mario e si ritirano per prendere le contromisure.

Io aspetto nel corridoio con Francesco.

Era con me anche sull’altare, ed è lui che mi ha presentato mia moglie.

E’ bene che stia a pagare il conto insieme a me!

L’unica cosa che mi dà fastidio è questo brusìo costante. Guardo le altre persone che sono nel corridoio ma non riesco a capire cosa si dicano.

Mario è sempre in giro a parlare con colleghe donne. Mi sembra molto gettonato.

Anche lui è separato. Ha una figlia con la prima moglie. Poi si è risposato ed ha avuto altre due figlie dalla seconda moglie. Un bel curriculum matrimoniale.

Quasi tutte le avvocatesse passano e si fermano a parlare con lui. Non è un adone, ma sicuramente un uomo brillante.

Io scrivo.

Una  amica di mia moglie è uscita dall’aula e si è messa a parlare al cellulare proprio davanti a me.  Ho la sensazione che sia venuta a spiare cosa stia scrivendo. Parla al telefono ed ogni tanto butta l’occhio. La curiosità è femmina.

Continuo a scrivere il mio post imperturbabile.

Ne conosco tanti di avvocati anche io. Ho frequentato il liceo classico, nell’unico liceo della città. Quasi tutti i miei compagni di scuola hanno preso la carriera forense, poi.

Alla fine, pur essendo ingegnere, sono finito a gestire contratti come lavoro. Un po’ lo faccio anche io il leguleio. Chissà come sarei stato da avvocato. Quello che non mi piace di questa professione è la eccessiva forma. La forma, la ritengo una cosa indispensabile, la apprezzo se è proiezione e giusto involucro. Un bel regalo diventa veramente bello se ci fai anche un bel pacco. In questi casi la forma diventa un moltiplicatore di sostanza. Spesso mi sembra che gli avvocati  usino molta formalità solo per nascondere la mancanza di contenuti. E’ un sipario del poco.

Mia moglie esce ogni tanto dall’aula e cerca lo sguardo in segno di sfida. Le piace far vedere che lei è spavalda.

Ora sono seduto da solo. Alzo lo sguardo e le concedo di fulminarmi con una occhiata.

La guardo , credo che i miei occhi somigliassero a quelli del merluzzo che ha lesso mia zia ieri. Quando voglio, so essere completamente inespressivo.

La separazione è un calvario. Guardandola però, mi rendo conto che non tornerei indietro per nulla al mondo.

Sono le 12,15. Attendiamo ancora. Penso molto a mio figlio stamattina. Mi parlava sempre a monosillabi. Non so se ho fatto bene o meno a non dirgli nulla del fatto che non mi abbia risposto ai messaggi che gli ho inviato.

Quando mi rendo conto che sto rimuginando scaccio il pensiero. Mi ero ripromesso di evitare i ripensamenti. Non gli ho parlato, ergo, ho fatto bene a non parlargli, mi ripeto mentalmente come un pezzo di rosario.

Arriva il nostro turno.

La discussione avviene in saletta riservata. Già questa è una buona cosa. Niente brusìo più.

C’è il giudice e la cancelliera seduti dietro una cattedra. Il giudice è un tipo bassino, occhialuto. Sarebbe simile a Ghandi se non fosse per gli occhiali rettangolari, invece che tondi. Giacca, ma non cravatta. Carnagione scura. Un uomo sulla sessantina. Serio, si vede che non è un tipo esuberante.

La cancelliera è bianco latte di carnagione. Capelli scuri, anche lei un po’ avanti negli anni.

Il colore della pelle dei due contrasta parecchio. Lei è cadaverica, mi fa impressione un po’.

La stanza è piuttosto piccola. In cinque ci stiamo a stento. Ci sediamo io e Mario da un lato, un po’ discosti dalla cattedra. Mia moglie, il suo avvocato e la praticante attaccati alla cattedra, come se dovessero pranzare.

L’arroganza spesso è anche fisica.

Il giudice esordisce chiedendo se c’è una possibilità di tornare insieme.

Nessuno risponde. Ripete due o tre volte la richiesta. Nessuno si pronuncia.

Mario fa presente che i tentativi si sono fatti, sono naufragati.

Il giudice deve aver letto qualcosa. Dopo il  tentativo di riconciliazione, credo doveroso per lui,  va subito al punto dei figli.

  • Come mai questi ragazzi non vedono il padre?

Rivolto a mia moglie

Lei:

–      è colpa  del signore qui presente. E’ un padre assente, non riesce a instaurare un rapporto con loro. E’ un violento ed è il suo modo violento di gestire il rapporto che li fa fuggire. In tutti questi mesi ho provato a convincere i ragazzi a riaprire il dialogo col padre. Ho provato in tutti i modi. Non c’è stato nulla da fare. Lui è cambiato e non lo riconoscono più.

Ha detto poche parole, ma il sangue mi ribolle come in una pentola. Sento un fitta forte allo stomaco. Penso e ripenso a quello che ho passato. Non sudo, è il dolore a colarmi dalla fronte.

Il giudice:

  • Ma lei, signora, è consapevole che i ragazzi hanno bisogno del padre ora? Sono degli adolescenti, se non li recupera ora, non li recupera più.

Lei

  • -Il problema è che lui non può ricordarsi di fare il padre quando gli pare a lui.

Monta la rabbia. Vigliacca .

Il giudice rivolto a me:

  • Lei deve cercare di tenere il dialogo quotidianamente coi ragazzi. Non basta una volta ogni tanto.

Guardo Mario e gli chiedo autorizzazione a vomitare. Non posso più trattenermi, devo parlare. Mi autorizza.

  • Signor Giudice, io ho cercato ogni giorno i miei figli,  dal primo giorno che sono andato via da casa. I primi tempi era mia moglie ad impedirmi di vederli. Non me lo  consentiva, faceva ostruzione in ogni modo. I primi mesi mi era consentito solamente portarli su e giù dalla scuola calcio. Ad un certo punto ha deciso che non potevo fare neanche più quello. Andavo a prendere mio figlio da casa. Usciva lei con lui. Sfilavano davanti. Lei mi guardava con aria di sfida. Li seguivo, rimanevo a vedere l’allenamento e poi era la volta dei miei suoceri farmi sfilare i ragazzi davanti. Io ho vissuto questo in tutti questi mesi. Non ho ricevuto gli auguri a Natale, gli auguri al compleanno, i ragazzi non hanno risposto nemmeno al nonno al telefono. I miei figli mi dicono che sono un bugiardo e non so nemmeno perché. Mi hanno anche detto che li affamo, quando ho sempre versato più di quello che potrei. Ho pagato tutto, affitto, bollette, tornei, scuola calcio, libri, finchè li ho visti davo loro anche la paghetta al sabato. Mi sono impoverito. Mi hanno bloccato i contatti telefonici. Non potevo chiamarli al telefono e sono andato sotto casa per dargli il buon giorno ogni mattina. Non volevano che andassi alle partite di calcio e ci andavo semplicemente per farmi vedere e per vederli da lontano. Nemmeno un ciao mi dicevano quando cercavo di avvicinarmi. Mio figlio non voleva che andassi ai colloqui scolastici. Non so perché, provava un senso di vergogna per la  situazione familiare. Non gli ho potuto parlare per capire. Lo hanno fatto tutti, io no. Me lo ha impedito mia moglie. Sono andato lo stesso ai colloqui. Mi ha visto mia moglie e la prima cosa che ha pensato di fare è informare il ragazzo che stessi lì.  Ha buttato benzina sul suo senso di vergogna. Perché questo? Questo è tentare di conciliare il rapporto coi miei ragazzi? Quella volta mi ha anche aspettato all’uscita dell’aula di matematica per appellarmi in modo non ripetibile.

Lei:

  • No è vero, è falso!

Bastarda, penso.

Continuo:

  • Finalmente dopo mesi che  non vedevo il più grande ,riesco a convincerlo a farsi accompagnare alla scuola guida. Mia moglie ha la buona idea di partire con la sorella e mio cognato in Grecia in quei giorni e portarsi i ragazzi. Le chiedo di pensare anche al fatto che fossero mesi che non vedevo mio figlio ed avevo appena ricevuto una piccola riapertura. Forse sarebbe stato più importante il mio rapporto con lui della vacanza. La vacanza la avrebbero fatta comunque, dopo. A fine luglio vanno al mare con i nonni in un posto che a loro piace molto.

Invece che discutere con me, ha riferito subito ai ragazzi che io non volessi mandarli in vacanza. Anche questo è collaborare?.

Mio figlio piccolo mi ha chiesto con un sms il perché non volessi mandarlo in vacanza. Non c’è stato verso di riavvicinarlo da allora. Ha chiuso tutti i ponti. Anche questo è collaborare?

  • Signora, non mi pare che suo marito sia una persona che non tiene ai figli. Almeno così mi pare. Se i ragazzi lo rigettano c’è un problema da valutare. Mi pare incredibile che questo accada tra due persone laureate, con una certa cultura, insomma.

Il trasporto con cui parlo  non ha fatto pensare a finzione. La verità profuma anche se vomitata.

Il giudice ha insistito con mia moglie sul fatto che fosse assolutamente necessario per i ragazzi riprendere il dialogo col padre.

  • Dovete riuscirci. Io posso emettere un provvedimento. Ma se non decidete voi di collaborare per il bene dei ragazzi, il mio provvedimento rimane carta. Se non lo fate voi, mi costringete a rivolgermi a terzi.

Il giudice mi sembra visibilmente dispiaciuto della situazione.

Mia moglie:

  • I ragazzi sono eccezionali e se non vogliono vedere il signore qui presente, (così mi chiama) è solo colpa sua.

Tira fuori dalla borsa le pagelle dei ragazzi. Scoppia in lacrime. Le lacrime di una donna fanno sempre il loro effetto. Mi sembra che il giudice si intenerisca. Una scena degna del miglior Mario Merola. Così commenta il mio amico Brizio quando gli racconto l’accaduto.

 L’avvocato di mia moglie insiste sul fatto che sia il giudice a sentire i ragazzi e non vengano indirizzati ad un centro di mediazione. Sono convinti che i ragazzi, interrogati dal giudice, siano pronti a dire peste e corna del padre, credo.

E’ una roba che mi strugge il cuore. Probabilmente accadrebbe, ma non riesco ancora a darmene una spiegazione.

Insistono molto su questo. Vogliono il giudice, non il centro di mediazione.

Mario è stato bravo. E’ intervenuto ogni tanto al momento giusto. Sta molto attento perchè la discussione non degeneri. Fa presente che al centro di mediazione ci siamo stati già, su mia proposta, sia io che mia moglie. Mia moglie non ha inteso continuare, dopo solo due incontri. Continuare invece sarebbe la cosa più logica.

  • Noi ovviamente, saremmo favorevoli a qualsiasi tentativo teso a recuperare il rapporto padre figli. Ci affidiamo a lei, Giudice.

Si arriva ai denari.

Mia moglie nega di avere un lavoro. Il suo è a nero presso il negozio del fratello, ma asserisce di dare solo una mano saltuaria.

Arriva a negare persino l’evidenza. E’ proprietaria di un appartamento che è in affitto. Le dà un reddito di cinquecento euro al mese. Dichiara che i soldi li prende il padre perché, benchè l’appartamento sia intestato a lei, si tratta di un investimento del padre.

Il giudice e il mio avvocato si fanno una risata.

Tra qualche giorno il  giudice si esprimerà con un dispositivo provvisorio.

Mario dice che è andata bene. Gli avvocati dicono sempre così.

Lo credo anche io, comunque. Male di certo non è andata.

Esco dall’aula, il clan di mia moglie sembra contrariato. Forse la parte economica non li ha entusiasmati. Per quello che hanno detto sui ragazzi, non credo si siano scomposti più di tanto. A loro cambia poco. Non riesco a capire cosa pretendano dal punto di vista economico. La loro richiesta è superiore al mio stipendio. Forse pensano che vada a rubare a notte e abbia altre fonti di reddito.

Ho mal di testa.

Anche se mi dicono che dovrei essere soddisfatto, non riesco ad essere contento. La rabbia è un grappolo di nodi. Ci metti un po’ a scioglierla. Devi farlo con calma, senza fretta. Rischi di innervosirti e di imbrogliare ancor di più la matassa. Se non sciogli tutti i nodi, non puoi distendere il filo.

Adesso arriva agosto. In Italia il diritto va in vacanza.

Ripenso a tutti questi mesi passati a cercare solo uno sguardo dei miei ragazzi.

Mi si serrano le mandibole.

Le ore che ho passato dietro la rete di un campo di calcio al freddo e al gelo per non avere nemmeno un ciao in cambio.

Le volte che mi sono avvicinato e sono stato scacciato come una mosca.

Le volte che sono andato a prenderli e sono saliti in macchina di altri.

Il dolore quando li ho incontrati e hanno cambiato strada.

L’umiliazione di essere chiamato bugiardo.

Le volte che li ho aspettati sotto casa solo per dire buongiorno e non ricevere nemmeno uno sguardo in cambio.

La tristezza infinita, le notti insonni.

I quintali di pagine scritte, i fiumi di parole spesi con consulenti, amici, specialisti e chiunque potesse dare una spalla su cui piangere o un semplice aiuto.

Le volte che ho sperato che rispondessero ad un messaggio o ad una telefonata.

Le sere che ho consolato mio padre ed il suo dispiacere.

Le telefonate e gli sms invano.

Le volte che mi sono dovuto ricucire il dolore da solo nel silenzio della campagna.

I sorrisi, fingendo forza, quando dentro di me morivo.

Le volte che ho chiesto perché e quello che mi dicevano era, abbi pazienza.

Le volte che ho avuto pazienza.

Mi sembra di essere in montagna. Fai una scalata durissima, la vetta non è la fine. E’ un buon punto di osservazione, ti dà la vista giusta per capire che la strada da fare è ancora tanta. Quello che ti spaventa è che sei stanco, ma sei solo all’inizio.

 

 

 

Gli oggetti allo specchio….

imageKatia all’ultima seduta di counseling mi da un compito. Prendi un quaderno, scrivi tutte le emozioni che riconosci, descrivendo la sensazione fisica che si accompagna. Se puoi, cerca di ricordare anche le smorfie del tuo viso e prova a riprodurle allo specchio.

Ma si può? Mi sento un po’ tirato per le orecchie a svolgere, ma sono stato sempre un tipo diligente e mi sono messo di buona lena ad eseguire il mio compitino. Invece del quaderno, ho cominciato ad usare il ‘’note’’ del mio Iphone. Più pratico.

Arrivato il momento di guardarmi allo specchio, ho avuto un po’ di difficoltà. La mia indole ha fatto attrito e resistenza. Ma a cosa serve tutto ciò?  Qualche mese fa al pensiero di annotare le emozioni e di fare le facce conseguenti allo specchio, mi sarei sentito ridicolo. La vita cambia repentinamente però, più velocemente di quanto si possa immaginare.

E cosa  avrei detto a 30 anni di me, se avessi pensato me a 45, in queste condizioni?

A quarantacinque anni, passerai molto tempo a cogliere le tue emozioni e a fare facce allo specchio!

Coglione! avrebbe detto me di me futuro!

A sentire la mia conselour invece è proprio questo il mio male. Sentirmi ridicolo solo perchè metto a nudo le mie emozioni. Mi rimprovera per questo.

Mi avvio allo svolgimento del  tema come un bue portato in palestra, anzi, se potessi, raglierei.

Quando hai poco, non puoi fare molta selezione,  non ci riesci. Prendi tutto quello che viene, pensi solo a riempirti. Smetti di fare lo schizzinoso. Quando hai fame, una pasta scaldata ti pare un pasto divino.

Ho provato in questi giorni a riprodurre davanti allo specchio i vari stati d’animo, ma non mi riesce di scostarmi di molto dalle emoticons di whatsapp. Quella tipo urlo di Munch mi riesce benissimo, è quella che mi da più soddisfazione!

Ma soprattutto, una volta che riconosco le emozioni, come faccio a trasmetterle ai miei ragazzi che nemmeno mi parlano? Questa domanda mi sono dimenticato di farla a Katia. Dovrei scrivere delle domande e portarmele dietro, penso. La memoria non mi basta più. La necessità dei pizzini va di pari passo con gli occhiali da vicino. Comincio a pensare che sono gli occhialetti a far dimenticare le cose!

Perche fino a qualche mese fa avevo un rapporto splendido con i ragazzi, senza fare tutti questi studi davanti allo specchio? Cosa è cambiato ora?

Mi sento come quando da studente mi chiedevo perché dovessi  studiare Lucia e Renzo. A cosa mi servono nella vita? Ora mi ritrovo a essere simile ai capponi di Renzo,  mi becco da solo però.

Oggi sono andato alla partita del più grande. E’ stata una partita importante, si è giocato l’intero campionato tra le prime due della classifica. Stavolta non ho provato nemmeno a chiedergli di accompagnarlo. La cosa mi ha preoccupato, questa inerzia potrebbe significare cedimento e non voglio. Arrivo un po’ nervoso al campo.

Ho preso il caffè di rito con gli altri genitori e sono salito sulla tribuna. Mentre guardo in giro per scorgere qualche volto amico da salutare, abbasso lo sguardo, proprio davanti a me, seduto accanto ai suoi amici, mio figlio piccolo. E’ a mezzo metro e non lo ho visto!

La faccia smarrita. evidentemente lui mi ha visto ed è fortemente in imbarazzo. Sto lì da almeno due minuti a distanza di carezza e non mi accorgo di lui.  Lo guardo, un tuffo al cuore. Lo saluto, mi risponde a fatica, mi metto accanto a lui, lo abbraccio e lo bacio sulla testa. Si divincola e gira la testa dall’altra parte. Mi rendo conto che ci sono i suoi amici e le sue amiche, ha tredici anni e per un adolescente non deve essere il massimo farsi vedere abbracciare e baciare dal proprio papà in condizioni normali, figuriamoci nelle nostre.

Faccio in tempo a chiedergli come stia, mi risponde che sta  bene, bofonchiando, poi  accentua il suo divincolarsi e mi offre quasi la schiena.

Evito di creargli imbarazzo e mi metto a sedere due file più su accanto ad altri genitori. Mi sento come ad avere una fetta di torta davanti, ma ne posso mangiare solo un pezzetto per via della dieta. La lascio e provo una mancanza fisica.

Stasera mi sono messo davanti allo specchio ed ho provato ad eseguire il mio compitino.

Che emozione è il tuffo al cuore? E’ quello che ti capita quando non ti aspetti di vedere qualcuno e quel qualcuno è la persona più importante della tua vita? Come te la rappresento Katia?

Rimango fisso immobile davanti allo specchio. Mi cade una lacrima, poi un’altra. Piango, ma non è un pianto amaro, è un pianto neutro. Non è nè gioia nè dolore. O meglio è gioia e rabbia allo stesso tempo che si compensano. Capita anche che piova col sole, mi sembra così.  Il mio cuore è felice, nel naso ho ancora l’odore di mio figlio, tra le braccia sento la sua morbidezza,  ma piango. Sono arrabbiato perché era lì e mi trattenevo per non creargli imbarazzo e perché probabilmente, se mi fossi avvicinato di nuovo si sarebbe allontanato.

Spero di essere riuscito a rappresentartela questa emozione, Katia. Magari sono riuscito a trasmettere qualcosa anche al mio piccolo, che sarebbe meglio. Parlo da solo con lo specchio.

Davanti a me c’è Vincenzo il migliore amico di mio figlio.

Comincia la partita, io divido i miei occhi tra mio figlio piccolo seduto due file più avanti e mio figlio più grande che in campo si gioca il campionato.

Succede un qualcosa di strano. Vincenzo per tutta la partita non fa che chiedermi pareri sulle squadre, sui giocatori, su ogni.

Sono troppo preso e concentrato sui miei ragazzi, su ogni mossa che fanno, uno in campo e l’altro sugli spalti per accorgermi che Vincenzo mi parla da mezz’ora. Rispondo automaticamente come i risponditori automatici, quelli che ti dicono:’’ prema uno se vuoi questo, prema due se vuoi quello ‘’ …tu invece vorresti tanto un operatore di quelli: ‘’buonasera sono Giovanni, come posso esserle utile!’’.

Arriva l’intervallo, mi giro sulla sinistra e sotto alla tribuna, ai bordi del campo, vedo tutto il clan di mia moglie.  C’è lei, il padre, la madre, mia cognata, il marito di lei con la piccola, una amica con il marito anche. Sono allegri e felici, ridono e scherzano.

Mi danno nausea, per fortuna sono lontani. La cosa mi urta anche, provo un po’ di gelosia. Un tempo il pallone era a mio esclusivo appannaggio. Guarda quanti sono oggi! E non sanno nemmeno se il pallone è tondo o quadrato. Che nervi.

Mi guardo allo specchio, non piango più. Si accentuano le rughe sul volto, aumenta la salivazione, deglutisco. Mi prende allo stomaco, si accartoccia come la carta del pane e la mia faccia sembra un pomodoro maturo e sfatto. I denti si serrano.

Mio figlio e Vincenzo si sono alzati e sono in giro con gli  altri ragazzi, li perdo di vista.

Scambio qualche parola sulla partita con gli altri genitori. La squadra perde, mio figlio in campo però lotta e gioca bene, tutto papà… J

Ricomincia la partita, secondo tempo.

I ragazzi tornano al loro posto, cerco di sentire i discorsi del piccolo con le amiche ma con il rumore di fondo del pubblico non riesco a carpire le parole. Non mi ha mai dato tanto fastidio un rumore di fondo.

Vincenzo prende delle patatine dalla busta del suo vicino, si gira e me le offre direttamente dalle sue mani, con quella naturalezza che solo i ragazzi hanno: Vuoi una patatina? Quasi fossi il suo compagno di banco.

Lo guardo. Ho un attimo di esitazione, sto per dire no. Guardo la patatina e gli dico:” grazie Vincenzo”. Il ragazzo mi stava coccolando da mezz’ora e non me ne ero accorto. Riavvolgo il nastro del primo tempo in mente. Si era accorto della reazione di mio figlio che mi aveva allontanato, Vincenzo è un ragazzo intelligente e da più di mezz’ora che cercava di coinvolgermi per consolarmi forse.

Mi guardo allo specchio. I miei occhi scondinzolano, abbozzo un sorriso a bocca chiusa, la testa si inclina leggermente su una spalla come a cercare un appoggio. Che bravo Vincenzo, penso. Mi ha voluto bene, mi accarezzava virtualmente e neanche me ne ero accorto.

Se il migliore amico di mio figlio mi tratta bene, può essere che loro non parlino poi così male di me, penso. Mi si riaccende una speranza. Sono più di cinque minuti che sono davanti allo specchio. Il tempo passa.

Avevo un’auto americana. Mi ricordo che sullo specchietto retrovisore c’era un adesivo: The objects in the mirror are closer than they appear. (Gli oggetti allo specchio sono più vicini di quello che sembrano)

Leggevo spesso quella frase. Gli americani sono maniaci per la sicurezza e da buon italiano commentavo:”sti  americani potevano risparmiarsela questa banalità”. Leggevo e ci riflettevo molto quando ero in auto, stando sullo specchietto mi balzava continuamente agli occhi. Avrei potuto staccare l’adesivo ma non l’ho mai fatto, mi solleticava la fantasia e cercavo un significato nascosto, più filosofico di quello pratico.

Adesso mi pare chiaro cosa cercavo. Stare allo specchio mi sta avvicinando a me stesso. L’esercizio di Katia, serve proprio a questo forse. Mi devo riappropriare di me stesso per offrire il meglio di ciò che sono.

In casa me lo hanno sempre detto, per far stare bene chi ti sta intorno, devi stare bene prima tu. Se vado in giro con questi occhi tristi, smarrito, come vuoi che chi mi sta intorno stia bene o mi riconosca?

Una persona che ha avuto una esperienza simile alla mia mi ha detto:

Quando torneranno e passerà la sofferenza quello che ricorderai è tutto il tempo che hai buttato a soffrire.

La partita finisce. E’ stata emozionante, i ragazzi hanno perso ma hanno giocato bene. Mio figlio più piccolo scende di corsa dalle tribune. Mi precipito a toccargli la testa e gli dico: Ciao! Non si gira a guardarmi, ma ricambia il ciao. E’ qualcosa!

Saluto Vincenzo.

E’ tardi, mi metto a nanna. Oggi non è andata così male, mi sono portato avanti con i compiti e l’oggetto nello specchio si è avvicinato di molto.

La definizione della questione.

Ieri incontro tra avvocati, me e mia moglie. Deus ex machina e ‘special guest’ della giornata,  mia cognata che ha accompagnato sua sorella. Il mio avvocato ha acconsentito a farla entrare nella stanza, come atteggiamento distensivo dice.

Mia moglie è entrata con aria di sfida, cercava il mio sguardo come a dire:- ti faccio vedere io! Due cose ha sempre amato,   le cause  e gli ospedali. In questo ci deve essere qualcosa di atavico che non sono riuscito a decifrare. Medici e giudici per lei sono qualcosa di molto vicino al Padreterno. Ricordo che, dopo aver preso con la ruota dell’auto un  marciapiede, voleva far causa al Municipio. Il motivo?  Avevano fatto i marciapiedi troppo larghi.

Per lei è importante trovare il colpevole, non risolvere il problema così come è importante sentire un medico piuttosto che star meglio. La colpa deve essere individuata necessariamente e  al di fuori della sua sfera di responsabilità. Se poi c’è una malattia con colpa siamo al non plus ultra. Con gli ingegneri ahimè non aveva lo stesso feeling. Con me in particolare, alcuno .Quello che io dicevo valeva meno di zero. Sono ingegnere ma non so aggiustare una lavatrice!  C’è voluta tanta pazienza, ora me ne rendo conto.

Ne approfitto,  per farmi una carezza.

Torniamo alla stanza. Il suo avvocato, un uomo pacato, apparentemente freddo. Senza dubbio un uomo di lungo corso e lento, di una lentezza che fa intendere padronanza. Il  mio di avvocato, un tipo piuttosto scoppiettante.

Io?  Peccato non aver avuto uno specchio per vedermi. Se dovessi pensare ad una immagine di me, penserei ad un cane bastonato, ma non so se è ciò che vedono.

La decisione di incontrarsi in tribunale è stata presa dal mio avvocato, forse per mettere un po’ di pressione su mia moglie. Si è reso conto dalle descrizioni che gli ho fatto di lei che è una che parte spesso per la tangente, quindi, meglio un posto dove possa sentire un po’ di soggezione.

Gli argomenti della riunione sono due fondamentali: i ragazzi e il denaro.

Si è cominciato a parlare dei ragazzi. Su consiglio del mio avvocato sono stato in silenzio cercando di non replicare a tutte le stronzate che sentivo. Me lo aveva anticipato. Sentirai la loro versione, ma non siamo davanti ad un giudice. Lascia stare, evitiamo polemiche sterili. Il trio della morte puntava il dito sulla mia incapacità ad avere un rapporto coi ragazzi. Se i ragazzi non vogliono vedere il padre, un motivo ci sarà. Evidentemente lui in questi mesi non è riuscito ad instaurare un dialogo con loro. Resta da capire come mai prima ce lo avessi il rapporto, penso. Ma stai zitto, evita polemiche.

Sull’argomento faceva da padrona di casa mia cognata che si sente laureata in psicologia. Ha fatto analisi per anni a causa di una malattia depressiva. Si sa, pulcinella è diventato avvocato salendo e scendendo le scale del tribunale.  Mia moglie, anche senza vissuto personale, è competente in tutto di suo, credo per volontà divina!

In silenzio, osservavo le persone che avevo di fronte e mi riferisco alle due sorelle. Vedevo poco interesse all’argomento ‘ragazzi’ , quasi una attenzione doverosa, il loro cruccio era altro, visibilmente. L’unico che manifestava attenzione al discorso dei ragazzi era l’avvocato di mia moglie. Lo faceva con taglio professionale ma si vedeva che dava la giusta   importanza. Le due ‘sister’ si capiva che se ne strafottevano alla grande. Non voglio dire che se ne strafottevano dei ragazzi in generale, per carità, ai ragazzi ci tengono,  ma del fatto che i ragazzi non vedessero il padre. E’ un problema solo mio, appunto.

Li guardavo tutti e tre. Mia moglie ad un certo punto ha attaccato con il suo cavallo di battaglia. Mi viene da pensare che lo abbia  inciso in uno studio di registrazione per la perfezione con cui lo ripete.

Lei ha cresciuto i figli da sola,  ha fatto mille sacrifici che non le pesano in quanto per i figli darebbe la vita e  adesso non è più disposta ad aiutare me. Mi ha servito e riverito per anni, ma ora basta.

Mi sarebbe piaciuto dirle qualche parolina in proposito, ma forse ha ragione il mio avvocato. Lasciare perdere adesso è meglio. Stai zitto ed evita polemiche! Mi dico. Reagire  allontana dall’obiettivo, quello di vedere i miei ragazzi.

Dopo lunghi minuti di ascolto ho percepito un interrogativo nello sguardo dell’avvocato di mia moglie, seduto proprio di fronte a me. Sembrava dicesse:-Ma questo non parla? Dicci qualcosa, voglio capire che tipo sei! Mia moglie e mia cognata erano state molto presenti fino a quel momento ed io praticamente muto. Forse è pure un esigenza da protocollo. Se c’è un incontro, ci sono due parti! L’altra dov’è? Il mio avvocato ringhia ma non morde, io non pervenuto.

Magari è stata mia suggestione, ma ho preso la parola quasi per accontentarlo. Almeno così mi piace pensare. Il mio avvocato in quel momento mi stava sul cazzo per quella decisione di fare entrare mia cognata nella stanza, decisione che ho subito passivamente.

Esordisco :- Vedete, vorrei solo precisare che le cose non stanno così come le racconta mia moglie. E tu sorella, prima di parlare, dovresti conoscere bene gli argomenti sennò rischi di dire solo fesserie. Mia moglie, in questi primi mesi, quando ho tentato di parlare e vedere i ragazzi, ha avuto delle reazioni violentissime per impedirmelo. Io ho soprasseduto sulla cosa, proprio per evitare ripercussioni sui ragazzi. Oggi mi rendo conto che ho sbagliato. Avrei dovuto trovare la strada per impormi. Se non l’ho fatto è stato solo per evitare di sottoporre i ragazzi a stress ulteriore. Queste cose non le dico tanto per,  le ho opportunamente documentate. Oggi per sua sfortuna non può dire il contrario. Mi riferisco  a dialoghi telefonici e non, che ho registrato. Ci sono momenti di violenza inaudita, con i ragazzi di sottofondo. Lei me ne dice di tutti i colori e dice chiaramente che i ragazzi non me li fa vedere. Non li fa vedere a me, come al resto della mia famiglia macchiata di non so quali colpe.

Mia moglie è a conoscenza delle registrazioni. Da quando ha inteso che i suoi show avevano ascolto ha smesso di comunicare. E si è offesa anche.

Intanto, dopo le mie parole,  silenzio per qualche secondo nella stanza. Il silenzio parla più delle parole ed in quel momento ho capito che il fatto che abbia registrato le prodezze verbali di mia moglie è una roba che ha destabilizzato parecchio il piano famiglia di far apparire me come uno stronzo e la signora come una povera derelitta. Ahimè, ci sono riusciti con i ragazzi però.

Mia cognata ha fatto la faccia disgustata per il fatto che io abbia fatto  registrazione degli show di mia moglie. Come se non fosse grave un delitto, ma piuttosto che ci fossero state le riprese dello stesso.

Volevo continuare con la descrizione delle cattiverie che ho subito. Il mio avvocato mi ha bloccato con la sua mano sul mio avambraccio: – ‘Non serve adesso’.

Sarebbe servito a sfogarmi, ma avrebbe avuto lo stesso effetto di quando bevi un po’ di coca cola. Provi gusto al momento ma poi hai più sete di prima.

E mi ripeto:- Stai zitto, evita polemiche inutili.

Mi vergogno ad aver registrato nella stessa misura in cui mi vergogno di lei e di quello che è stata capace di fare. Non so cosa farò di queste vergogne su file, probabilmente le cestinerò. Credo che dall’altra parte pensino che abbia registrato per far del male. Ma così non è. Per me è stata una difesa. Ho fatto in modo anche che lo sapesse. Così avrebbe finito con insulti e angherie. Per ora mi servono a trarre la rabbia per continuare , altrimenti mi abbandonerei non so dove.

Intanto mi accorgo che le mie parole hanno acceso gli animi. Mia moglie si è infiammata ulteriormente: ” Non mi fai paura, tanto le registrazioni non sono una prova e sono illegali”. Come sempre l’importante è la colpa. Nel suo caso, la colpa non può essere dimostrata in un tribunale e quindi non esiste.

Il mio avvocato mi tocca  di nuovo il braccio per dirmi tacitamente  di stare tranquillo. Ma quello agitato era lui, io avevo solo nausea in corpo.

La questione è risolta dall’avvocato di mia moglie che ad un certo punto capisce che quello dei ragazzi è un terreno minato per la sua cliente e cerca una scappatoia.

”Secondo me serve un intervento tecnico”, esclama all’improvviso. In sostanza propone di far parlare i ragazzi con uno psicologo per capire come sbloccare la situazione.

Mia cognata si associa immediatamente alla proposta forse pensando si riferisse agli adulti e felice: ”Siii, tutti ne abbiamo bisogno”  quasi commossa. Sembrava avesse visto la madonna di Madjugorje.

Da un po’ che vado una psicologa per affrontare il rigetto dei miei figli. Ne sto traendo un po’ di beneficio, ma vedendo mia cognata mi è passata completamente  la voglia.

Il pensiero di fare andare i ragazzi da uno psicologo non mi entusiasma, ma francamente ho esaurito le idee. Poi la proposta è loro. A cosa mirano? Non so, ma qualcosa bisogna pure farla. Oramai i ragazzi mi evitano.

Nemmeno mia moglie sembra entusiasta. Prendono tempo sull’argomento.

Si passa all’argomento caldo delle ‘sister’. I soldi. L’atmosfera sembrava del tipo: bene, abbiamo finito di parlare di puttanate, adesso veniamo alla questione per cui siamo venute.

In famiglia sono piuttosto legati all’argomento.

Mia cognata ha sposato un uomo brillante e benestante, è passata e passerebbe su ogni cosa pur di tenerselo. La madre obbligò il suo ex fidanzato a scappare a gambe levate dicendogli chiaramente che non aveva abbastanza soldi per la figlia. Mia moglie pensava di avere sposato un nababbo e invece ha scoperto che non lo sono. Credo che sia la cosa che maggiormente l’ha delusa di me.

Pezzente era uno degli appellativi che preferiva in casa. Ad un certo punto temevo che alla domanda cosa fa tuo padre, i miei figli rispondessero : Il pezzente.

L’avvocato di mia moglie prende una posizione di attacco. Fino a quel momento, anche la postura era di stand by, a tratti di difesa. Le spalle dietro rispetto al bacino e ben appoggiate sulla spalliera. Appena nominata la parola magica, soldi, improvvisamente le sue spalle si fanno in avanti. Mi contestano la quantità di denaro che passo alla signora.  Intervengo, sciolgo il silenzio.

– Ricordo a tutti che non sono un produttore di denaro, faccio l’ingegnere, ho uno stipendio che tra l’altro ultimamente arriva anche a singhiozzo. Mia cognata lavora con me e quindi conosce perfettamente la situazione aziendale.

Anche in questo caso, mia moglie si agita e mia cognata le fa da eco:-  Ci ha ridotto in schiavutù a me e ai miei figli. Mia cognata in aggiunta:-mia sorella è una eroina! Non so come faccia! Fa miracoli. Quando andiamo in pizzeria, ai ragazzi e a lei provvede mio marito. E’ umiliante per una donna.

Le loro parole servono a farmi  benedire il giorno che ho detto basta. Penso ai miei ragazzi però, in mano a queste iene.

La signora  fino a quel momento incassava regolarmente una cifra un po’ superiore al migliaio di euro da me, uno stipendio da commessa dal fratello, 500 euro dall’affitto di una casa di sua proprietà. In aggiunta io mi sono caricato tutte le spese: casa, bollette, telefoni, sky, spese extra mediche, sportive, scolastiche, paghette settimanali finchè ho potuto vedere i ragazzi.

Tutto questo, oltre le mie possibilità ed erodendo il mio piccolo gruzzolo di risparmi. L’ho fatto fin’ora per evitare ripercussioni sui ragazzi. Ora basta, mi dico. Seguirò il consiglio dell’avvocato e passerò solo quello che mi dice lui, tanto, anche se do di più, lei continuerà a dire che la sto affamando e quel che è peggio, lo fa credere ai ragazzi.

Il mio avvocato dice a mia moglie, signora, lei lavora anche!

E lei : io non lavoro!

Lavora dal fratello, ma in nero. Il fratello non l’ha mai assunta. Ma è una roba che sanno anche le pietre che lei lavora lì.   Negarlo in mia presenza che ho vissuto con lei per 15 anni, mi ha dato l’evidenza che l’incontro fosse una ennesima presa per il culo. Alla bugia sparata da mia moglie, mia cognata e il suo avvocato hanno avuto il pudore di stare in silenzio.

Vista la piega negativa che prendeva la discussione i due avvocati decidono di passare oltre. Si sarebbero sentiti per stabilire il quantum e le modalità di versamento.

Mi sono sentito in dovere, però,  di esprimere una piccola riserva: – Scusate un attimo. Ho una preghiera da fare. Evita  di farmi chiedere i soldi dai ragazzi. Secondo me non è una buona cosa questa. Anche perchè c’è un assurdo nella cosa. Dici che fai di tutto per spingerli a frequentarmi o per lo meno a sentirmi, ma sono loro a non voler sentir ragione. Poi invece, a convincerli a sentirmi per chiedermi denaro, impieghi un attimo.

Il suo avvocato, abilmente, cambia discorso:- Evitiamo queste cose, saremo noi avvocati a metterci d’accordo su questo!

Comprendo che anche questo discorso è scomodo.

Si discute  poi sul fatto che io non abbia restituito ancora le chiavi di casa. Rispondo che non l’ho fatto perchè ho ancora tutte le mie cose in casa e mia moglie si rifiuta di farmele prendere, anzi, dice di aver regalato molte delle mie cose.

Lei conferma di aver regalato le mie cose ed il suo legale la guarda sbalordito:- Come? Le hai regalate?

Lei corregge il tiro:- ” qualcosa, ma non ricordo”.

Non vuole che vada io a casa. Mi raccoglierà le cose  e le consegnerà a qualcuno. Questa cortesia in cambio delle chiavi.

L’avvocato di mia moglie è soddisfatto. Ci dice di essere contento perchè si sono fatti passi in avanti.

Lo guardo perplesso.

 

 

 

 

 

 

 

 

Il nonno

Mio padre ha 88 anni. Abita in una casa di campagna che si è costruito nel 1970, proprio in previsione di passarci la vecchiaia. Mia madre è morta in un incidente stradale fine anni ottanta. Lui guidava, ma non ebbe responsabilità. Nell’incidente furono tamponati da un’altra auto che correva a 200 km orari e chi guidava, ubriaco, aveva perso il controllo.

Mio padre rimase in coma per qualche giorno, poi si riprese. Mia madre non ce la fece da subito.

E’ rimasto vedovo a 61 anni, ma non si è più legato a nessuna altra donna. Non ho capito come mai. E’ stato sempre molto riservato in proposito. Di fatto ha continuato a vivere nella sua casa, da solo. Un uomo forte, senza dubbio. Una volta provai a parlare della cosa, il suo commento fu:- ”alla mia età non ha senso”.

Oggi mi ritrovo a fare il suo ospite e lui il mio. Sono cresciuto in questa casa, ma proprio dopo la morte di mia madre sono andato a vivere per conto mio, prima per studio e poi per indipendenza personale.

Il giorno del patatrak familiare, andato via da casa ho fatto la scelta di venire a vivere da lui per più di un motivo.

Avevo bisogno di sentirmi in un ambiente che mi proteggesse e dove mi sentissi in qualche modo considerato. Mio padre ha sempre avuto un debole per me e il suo affetto in quel momento è stato fortemente lenitivo.

Aveva bisogno lui di qualcuno. E’ molto seguito dalle sorelle di mia madre che gli fanno compagnia a pranzo e alla domenica, ma a 88 anni ha necessità di essere seguito un po’ più da vicino.

Non ho spese. In questo momento è un toccasana.

Lui, sebbene abbia ancora il piglio dell’uomo indipendente ha i problemi della senilità, dimentica le cose. Il fornello acceso, le luci accese, l’acqua che scorre. Dopo quello che ho visto in questi mesi, il fatto che non abbia fatto qualche disastro in casa o che non si sia fatto del male è davvero un miracolo. La sua vista è ridotta al lumicino e comincia ad aver bisogno di aiuto un po’ per tutto.

Mi fa molta tenerezza. Da piccolo nutrivo un grande rispetto nei suoi confronti ed un timore reverenziale. Spesso era in ansia per il lavoro, mi ricordo di averlo incrociato più di qualche volta di notte. Rientravo da una festa, oppure semplicemente mi svegliavo per bere un po’ d’acqua, lui era lì, seduto al tavolo del soggiorno. La faccia visibilmente preoccupata, carta e penna tra le mani. Qualche anno dopo mi ha insegnato a far così per combattere l’insonnia. Scriversi tutto quello che c’è da fare al giorno dopo. Ed in effetti non so se è accaduto per somiglianza genetica, ma il sistema ha funzionato perfettamente, anche contro la mia di ansia.

Una delle prime considerazioni che ho fatto quando sono andato via da casa, un po’ anche per lenire la grande sofferenza di stare lontano dai miei ragazzi, è che mi dava felicità godere della vicinanza di mio padre.

E’ un vecchietto mite ormai, con cui tutti trovano piacevole conversare. In 88 anni ne ha viste di cose e le sa raccontare molto bene.

Forse non siamo stati mai così vicini. Entrambi molto indipendenti e molto riservati, abbiamo condotto vite parallele, ma sempre a contatto. Lui è dotato di un grande magnetismo e mi ha sempre dato immensa energia in ogni situazione della vita, specie nei passaggi difficili.

Mi ha dato tanto e non solo materialmente. Aveva la capacità di intervenire al momento giusto e nel modo giusto.

Nei primi giorni di allontanamento da casa abbiamo parlato molto. Mi ha chiesto di spiegargli i motivi. Mi ha fatto sfogare, credo. Ha provato a convincermi a tornare sui miei passi, poi, credo che si sia convinto a lasciarmi stare, pensando che così potessi decantare l’arrabbiatura. E’ stato dolce, considerando la sua veneranda età. Ha cercato di intervenire, parlando con i miei suoceri. Purtroppo si è scontrato con la grettezza di mia suocera che gli ha chiuso il telefono in faccia.

Anche in questa occasione, come del resto nel corso di tutta la sua vita, nessun brutto commento. Mi ha raccontato che gli è stato chiuso il telefono in faccia senza possibilità di parlare. Era molto turbato per questo, ma mi ha detto:

-‘’ forse ho sbagliato il momento e non mi sono saputo presentare. Mi avrà preso per qualcun altro’’.

Per lui è stato sempre così. Se qualcosa non va è perché non siamo stati abbastanza bravi per farla andare come pensavamo. In 88 anni non l’ho mai sentito esprimere giudizi su qualcuno.

Da quel tentativo di mediazione fallito sul nascere è passato un po’ di tempo e non si dà pace. Ogni tanto a sera quando mi vede giù, mi ripete: -‘’vuoi che riprovi a parlare io con i tuoi suoceri per vedere almeno di non coinvolgere i ragazzi nella separazione?’’

Lo devo tranquillizzare, né più ne meno di come si può tranquillizzare un bambino di 5 anni.

-‘’Papà stai tranquillo. Purtroppo non c’è molto da fare al momento, ma col tempo le cose si sistemeranno’’.

Le mie parole per fortuna lo rasserenano per un po’. Poi ritorna a bomba:

-‘’ma potremmo invitare i ragazzi qui in campagna a cena un giorno. Possono portare anche qualche amico se vogliono. Chiamerei il ristorante e farei preparare qualcosa di speciale. Che cosa piace a loro?’’

– ‘’Papà lo sai che non riesco a parlare con loro. Figurati se vengono qui a cena o pranzo.’’

Il suo volto si oscura.

-‘’ Ma pensi che non ci sia proprio nulla da fare? Ma perché fanno così? Che strano, non mi vogliono vedere proprio? ’’

– ‘’Papà non è colpa loro. Non ce l’hanno con te. Sono andato via da casa e l’hanno presa male. Con calma passerà’’.

-” E se vado io a casa a trovarli?”

Non posso dirgli altro. Ma ha 88 anni, non è stupido.

Stasera si era visibilmente commosso per questo motivo. Mi ha schiantato il cuore.

Ho preso il cellulare e scritto un messaggio ai ragazzi, un mezzo rimprovero e una ennesima richiesta di mandare almeno un messaggio al nonno.

Silenzio ancora.

Il giorno del suo ottantottesimo compleanno, su mia insistenza lo hanno fatto. Lui non vede più molto bene e ogni tanto mi chiedeva di rileggerglielo. Il giorno dopo raccontava a chiunque incontrasse l’evento come se avesse ricevuto la visita del Papa.

Per fortuna alla sua età si diventa resilienti, ma mi auguro che veramente le cose cambino, soprattutto per i miei ragazzi. Magari, mio padre, così come dimentica i fornelli accesi, dimentica  di morire.

Mi ha sempre detto che il tempo è galantuomo. Spero che un galantuomo come lui abbia il  tempo.

Le Apparenze

Qualche giorno dopo il mio allontanamento da casa i rapporti erano piuttosto tesi.

I ragazzi soffrivano ed erano spaesati ma rispondevano al telefono e mi vedevano volentieri.

Con mia moglie non riuscivamo a parlarci sia per la sua propensione naturale all’urlo sia perché l’astio reciproco era troppo forte.

C’era da discutere sulla gestione dell’ordinario, sui ragazzi e su tanto altro.

Decidemmo di incontrarci dai miei suoceri.

Su suggerimento dell’avvocato mi feci accompagnare da mio fratello.

La cosa che colpì della riunione era la convinzione della famiglia di mia moglie, padre madre e figlia presenti. Per loro non importa che non ci sopporti, non ci si ami, non ci si rispetti e stimi.

Bisogna rimanere sotto lo stesso tetto e basta,  salvaguardando così, a loro dire , la crescita dei ragazzi in un ambiente normal-familiare.

I miei suoceri proponevano la sottoscrizione di un decalogo di comportamenti da osservare per il quieto vivere.

Resta da intendere cosa poteva rispettare mia moglie di quel decalogo. Non ha mai rispettato alcunchè del quieto vivere, figuriamoci un decalogo.

E’ come far rispettare i dieci comandamenti ad un anarchico nemmeno cristiano.

Chiesi loro se fossero convinti che quello fosse il bene dei ragazzi o un salvataggio delle apparenze. Erano assolutamente convinti e imputavano questa convinzione alla loro pluridecennale esperienza come professori. Ne avevano visti di ragazzi figli di genitori separati e avevano ben donde dal fare quelle affermazioni.

Ho sempre pensato che il loro punto di vista fosse da prendere in considerazione e che andasse valutata seriamente la proposta. D’altra parte anni prima eravamo arrivati quasi allo stesso punto con mia moglie e si decisedi continuare a ”stare sotto lo stesso tetto” proprio in virtù di questi consigli. Sapevo che, andando via,  nell’immediato,  avrei causato grande dolore ai miei figli e questo mi faceva pensare e ripensare sulla bontà delle valutazioni.

Ero provato dal punto di vista nervoso. Stavo molto male.  Non sapevo realmente cosa mi sarebbe aspettato da lì a qualche mese.

Il dubbio era quindi:

– restare in casa e tentare di sopportarsi con un decalogo di comportamenti;

– andare via.

Pensai molto alla cosa e mi resi conto che mancava la cosa più importante.

La disponibilità. Mia moglie non avrebbe mai rispettato nulla di quel decalogo, io non avrei mai avuto più la tolleranza dimostrata in tanti anni. Mi sarei chiuso sempre di più in me stesso e avrei  accresciuto il rancore nei suoi confronti.

I miei suoceri non si sono mai resi conto della violenza e della irragionevolezza della figlia. Per loro era solo una persona un po’ fumina, così la descrivevano.

La verità è che avevo paura del livello di malsopportazione a cui ero giunto. I modi bruschi e violenti di mia moglie facevano dispari con i miei silenzi e aumentavano rabbia e rancore.  La situazione era davvero esplosiva.

Rischiavamo di danneggiarci e danneggiare la cosa più cara che abbiamo: i ragazzi.

Chiesi a tanta gente, esperti di vita e specialisti. Tutti mi hanno sempre confermato che sono meglio due genitori separati ma felici piuttosto che dei genitori ”sotto lo stesso tetto” ma infelici.

I ragazzi lo capiranno col tempo.

Così presi la decisione, ma sottovalutai due aspetti:

Il primo è che per certa gente le apparenze sono tutto e l’altro è che laddove c’è rabbia e frustrazione o stupidità difficilmente alberga il buon senso.

Fu una decisione dura e terribile. I miei ragazzi mi sarebbero mancati come l’aria e non immaginavo lontanamente quanto.

Nella mia testa facevo solo il loro bene e mi muovevo con giustezza.

Il Rifiuto

La cosa più dura da incassare è il momento in cui tuo figlio ti dice che non ti vuole vedere e che sta meglio senza di te.

Provi a chiedere il perchè, non ti risponde, non da spiegazioni. Devi accettare la sua sentenza perchè al momento non ha appello. Ti rimane la speranza di una grazia o una amnistia successiva.

Cominci a chiederti perchè, dove hai sbagliato in tanti anni e che immagine hai dato di te. E’ il primo moto dell’animo. Poi subentra la razionalità, la mente riprende il controllo momentaneamente sospeso. Ti analizzi e critichi con la ragion pura le tue emozioni.

Ho sempre pensato che non ha senso cercare le colpe di qualcosa, anche perchè ognuno le colpe le vede dove vuole lui.

Conviene mettersi all’opera e lavorare perchè un problema si superi o si attenui.

Di fronte ad una persona che ami più di te stesso, di un amore che solo un figlio ti può procurare, un rigetto fa male, molto male.

La ragione  dice di provare ad essere un uomo migliore se possibile, ma il dolore brucia, soffiarci sopra con la razionalità lenisce solo a tratti.

La ragione continua a dirti di non cercare colpe, semmai identificare errori e lavorare su quelli.

L’errore più grande può essere quello di cercare colpe e colpevoli, sia dentro di te che fuori.

Riguardo a ciò che senti, quello non ti fa ragionare.